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⭕ L’economista invidioso del fisico

Lʼeconomia della ciambella di Kate Raworth – puntata 13

Sette mosse per pensare come un economista del XXI secolo 

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4a mossa, Comprendere i sistemi

Passare dall’equilibrio meccanico 

alla Complessità dinamica 

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L’economista invidioso del fisico

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Bramosi dell’autorevolezza della scienza, gli economisti cercarono di imitare le leggi del moto di Newton descrivendo l’economia come un meccanismo stabile.

Ispirandosi alle leggi fisiche del moto scoperte da Newton per spiegare dagli atomi al movimento dei pianeti, gli economisti si impegnarono per scoprire le leggi economiche del moto per spiegare il mercato dal consumatore al prodotto nazionale.

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Intorno al 1870 infatti fu l’economista William Stanley Jevons che dichiarò che la teoria dell’economia presenta una stretta analogia con la scienza della meccanica statica e le leggi dello scambio dimostrano di assomigliare alle leggi dell’equilibrio di una leva.”*

Aveva una visione simile anche l’economista Léon Walras che affermò che “la teoria pura dell’economia è una scienza che assomiglia alle scienze fisico-matematiche sotto ogni aspetto”.*

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Ad approvare il pensiero di Jevons e Walras, si aggiunsero altri economisti che paragonarono il ruolo della gravità nel fermare il pendolo con il ruolo dei prezzi nell’equilibrare i mercati.

All’epoca queste metafore meccaniche vennero considerate innovative e vennero poste  al centro delle teorie su individui e aziende dando vita al settore di studi noto come microeconomia.

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La teoria si fondava sull’assunto che ogni mercato doveva avere un solo punto di equilibrio stabile, proprio come un pendolo ha un solo punto di riposo.

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Perché questa condizione potesse durare, si dava per scontato che venditori e acquirenti fossero privi di potere contrattuale e avrebbero dovuto seguire la legge dei rendimenti decrescenti.

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Su questi presupposti venne  elaborato il diagramma della domanda e dell’offerta, diagramma che ancora oggi viene insegnato agli studenti di economia.

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Come funziona questo diagramma?

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La curva della domanda rappresenta quanti acquirenti vogliono comprare un prodotto ad un dato prezzo, dato il loro obiettivo a massimizzare la loro soddisfazione.

Significa che la curva della domanda scende man mano che l’acquirente soddisfa il suo bisogno e scende contemporaneamente la propensione a pagare il prezzo iniziale (utilità marginale decrescente  del consumo).

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La curva dell’offerta mostra invece quanti prodotti un venditore sarà disposto a fornire in relazione al prezzo dato il loro obiettivo di massimizzare i profitti.

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Era il 1870 quando Alfred Marshall tracciò questo diagramma sostenendo che “il prezzo di mercato non è stabilito né dai soli costi per il venditore né dalla sola utilità per l’acquirente ma esattamente dove i costi e l’utilità  corrispondono, lì si trova il prezzo di equilibrio del mercato”.

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Walras era convinto che l’analisi potesse essere estesa da un singolo bene a tutti i beni per giungere a formulare un modello valido per tutta l’economia di mercato introducendo il concetto di “Equilibrio economico generale”.

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In condizioni di concorrenza perfetta, secondo Walras (1899) era possibile determinare un sistema di prezzi d’equilibrio che comporta l’eguaglianza tra domanda ed offerta in tutti i mercati, nonché l’eguaglianza tra costo di produzione e prezzo di vendita per ciascun bene e per ciascun imprenditore.

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Nel 1954 Kenneth Arrow e Gérard Debreu dimostrarono matematicamente l’esistenza dell’equilibrio teorizzato da Walras.* **

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Le teorie sull’equilibrio economico generale dominarono l’analisi macro-economica per tutta la metà del XX secolo ma si reggevano su fondamenti errati: non tenevano conto dell’interdipendenza dei mercati, di tutte le variabili nell’ambito di un’economia e del ruolo del settore finanziario.

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Un modello economico non può ispirarsi alla meccanica di Newton: il pendolo dei prezzi, i meccanismi di mercato e il ritorno sicuro al punto di riposo non sono parametri applicabili all’economica.

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Nei libri di testo di economia  agli studenti viene ancora presentato il mondo economico come lineare, meccanico e prevedibile quando invece bisogna diventare “pensatori sistemici”. 

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Concetto straordinariamente lungimirante espresso dal matematico Warren Weaver con il suo articolo “Science and Complexity” * ** che nel 1948 venne pubblicato sulla rivista American Scientist.

Egli sosteneva che in natura esistono tre diverse classi di sistemi dinamici:

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1. i «sistemi semplici», aventi la presenza di poche variabili in casualità lineare;

2. «sistemi a complessità disorganizzata», aventi un numero estremamente elevato di variabili;

3. i «sistemi a complessità organizzata», caratterizzati da un numero considerevole di variabili connesse in un tutto organico. Sono questi i sistemi che incontriamo in biologia, in medicina, in psicologia, in economia e nelle scienze politiche. I problemi legati ai sistemi a complessità organizzata non possono essere risolti con le obsolete tecniche del XIX secolo che prevedevano variabili a due, tre o quattro.

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A fine anni Settanta le intuizioni di Warren Weaver diventano realtà.

Con l’avvento di potenti calcolatori che consentivano simulazioni realistiche dei sistemi naturali si è andata affermando la ricerca scientifica della complessità in varie discipline: fisica, chimica, biologia ed economia.

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Gli ecosistemi della Terra sono compromessi e non ci sono molti anni per poter intervenire e, visto che la realtà è instabile e imprevedibile, Kate Raworth ci esorta:

perché non buttare via subito le metafore sbagliate per l’economia legate  alla fisica newtoniana?

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perché non ragionare sin da ora tenendo conto che l’economia è un sistema di pertinenza della scienza della complessità?

La prossima volta parleremo della danza della complessità: la 4a mossa.

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Legenda relativa ai link:

* fonte citata nel libro “Economia della Ciambella”

** approfondimento suggerito da Culturaintour

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