⭕ L’Economia della ciambella di Kate Raworth spiegata a puntate

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L’economia della ciambella di Kate Raworth

Sette mosse per pensare come un economista del XXI secolo

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Prefazione

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Finora le nostre società hanno perseguito modelli di sviluppo socio-economici che si sono basati sulla crescita continua dell’utilizzo degli stock e dei flussi di materia ed di energia da trasferire dai sistemi naturali a quali sociali.

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Al centro dei processi economici non è stato collocato il capitale fondamentale che ci consente di perseguire il benessere e lo sviluppo delle nostre stesse società e cioè il capitale naturale costituito dalla straordinaria ricchezza delle natura e della vita sul nostra pianeta.

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⭕ La ciambella in sette mosse

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L’economia della ciambella di Kate Raworth – puntata 5

Sette mosse per pensare come un economista del XXI secolo

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La ciambella in sette mosse

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Nel 2011 Kate Raworth disegna per la prima volta la Ciambella a seguito di un lungo percorso: analizzare – per smontare pezzo per pezzo – il vecchio paradigma di economia che, pur avendo consentito a miliardi di persone di migliorare il proprio standard di vita, nel tempo ha causato un impatto gravissimo a livello sociale con diseguaglianze su scala globale mai visti prima nella storia dell’umanità e un degrado ambientale tale da compromettere i sistemi naturali del pianeta.

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Consapevole che l’attuale modello si fonda su teorie dell’Ottocento che continuano a essere insegnate, Kate si confronta con accademici innovativi, business leader raccogliendo allo stesso tempo le intuizioni degli studenti di mentalità aperta. 

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Attinge sapere dal mondo dell’ecologia, istituzionale, femminista e dell’economia comportamentale. 

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Attraverso il bagaglio di strumenti e informazioni acquisiti,  giunge a indicare i principi che devono guidare un economista per essere capace di affrontare le impegnative sfide che l’umanità ha dinanzi a sé.

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Kate ci tranquillizza: il fatto che non ci si sia mai sorbito un testo sull’economia può rivelarsi addirittura un vantaggio avendo meno zavorre da cui liberarsi non avendo “i graffiti economici che stazionano nella nostre menti”. 

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Ridipingiamo tutto con nuove immagini e lo faremo in “sette mosse per pensare come un economista del XXI secolo:

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Prima mossa, Cambiare l’obiettivo

.-Vecchio paradigma

L’economia da sessant’anni basa il suo benessere attraverso un indicatore, il PIL.

.-Economia della Ciambella

Occorre prosperare in equilibrio creando un’economia,  dal livello locale a quello globale, che rispetti i diritti umani e i limiti del pianeta.

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Seconda mossa, Vedere l’immagine complessiva

-Vecchio paradigma

L’economia mainstream raffigura tutta l’economia in un solo diagramma, il flusso circolare del reddito.

-Economia della Ciambella

L’l’economia va integrata nella società e nella natura.

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Terza mossa, Coltivare la natura umana

-Vecchio paradigma

Il pensiero economico razionale ha modellato la società con individui isolati, calcolatori che dominano la natura.

-Economia della Ciambella

Le persone sono sociali, interdipendenti, fluide nei valori e consapevoli della dipendenza dal mondo naturale.

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Quarta mossa, Comprensione dei sistemi

-Vecchio paradigma

L’economia mainstream si basa su un equilibrio meccanico frutto di teorie risalenti al XIX

-Economia della Ciambella

L’economia è dinamica e occorre gestirla in quanto sistema complesso in continua evoluzione.

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Quinta mossa, Progettare per distribuire

-Vecchio paradigma

La diseguaglianza nell’economia è fisiologica e con la crescita la situazione migliora

-Economia della Ciambella:

L’economia deve prevedere ala distribuzione del valore che genera.

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Sesta mossa,  Creare per rigenerare 

-Vecchio paradigma

Il degrado ambientale è in stretta correlazione con l’aumento della ricchezza economica.  

La società adotta una politica ambientale  quando raggiunge una ricchezza tale da poter scambiare parte propria crescita per migliorare l’ambiente.

-Economia della Ciambella

Occorre prevedere una progettazione rigenerativa per creare un’economia circolare.

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Settima mossa, Essere agnostici riguardo alla crescita

-Vecchio paradigma

La crescita infinita è un obbligo. Da essa dipendono finanza, politica e società.

-Economia della Ciambella

L’obiettivo è vivere una vita dignitosa in uno spazio sicuro ed equo indipendentemente dalla crescita

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Siamo solo all’inizio della trasformazione del pensiero economico tenendo presente che è in continua evoluzione.

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Per coloro che sono pronti a ribellarsi, a guardarsi intorno, a mettere in dubbio e ripensare, questo è un momento straordinario.

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“Unitevi a questo viaggio”, ci incita Kate.

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⭕ Il Pil, come il cuculo nel nido

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L’economia della ciambella di Kate Raworth – puntata 6

Sette mosse per pensare come un economista del XXI secolo

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1a mossa, Cambiare obiettivo

Passare dal Pil

alla Ciambella in equilibrio

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Il Pil, come il cuculo nel nido

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Il cuculo non nidifica e non cresce i propri piccoli.

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La femmina di cuculo, infatti,  attende il momento in cui il nido di altri volatili sia incustodito per deporvi il suo tra le uova già presenti. 

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Quando i proprietari del nido rientrano, ignari, covano amorevolmente le loro uova compreso quello intruso che apparentemente è somigliante alle uova legittime.

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Quando si schiude, generalmente prima degli altri, il pulcino cuculo si libera delle uova degli uccelli proprietari del nido e li getta fuori. 

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Rimasto solo, verrà nutrito abbondantemente diventando più grande degli stessi genitori adottivi con dimensioni assurde tali da debordare dal minuscolo nido.

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Kate si serve di questa metafora per affermare che il “pil-cuculo” si è impossessato del  “nido-economia”: la sua crescita è diventato l’obiettivo dell’economia stessa.

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Come ha fatto l’economia a perdere il suo obiettivo?

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Scopriamo la sua genesi.

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Nell’antica Grecia, Senofonte (circa 390 a.C.) coniò il termine “economia” descrivendola come arte, la pratica della gestione domestica. Più tardi Aristotele distinse l‘economia dalla crematistica cioè l’arte di acquisire ricchezza.

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Nel 1767 con James Steuart l’economia perse il concetto di arte per passare a “scienza delle politiche domestiche nelle nazioni libere”. Steuart  affermò che essa ha lo scopo di  assicurare un certo fondo per la sussistenza di tutti gli abitanti e creare cooperazione tra di essi per soddisfare i reciproci bisogni e i desideri.

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Nel 1776  Adam Smith, sebbene sia noto per aver promosso il mercato libero, riformulò la definizione dando all’economia il duplice scopo di fornire sussistenza alle persone e allo Stato introiti da destinare ai servizi pubblici.*

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La vera svolta avvenne nel 1844 con l’economista John Stuart Mill, uno dei massimi esponenti del liberalismo, che descrisse l’economia politica come “una scienza che delinea le leggi di quei fenomeni della società che sorgono dalle operazioni combinate dell’umanità per la produzione della ricchezza”.**

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In altre parole per Mill l’oggetto di studio dell’economia non è la società economica nel suo complesso ma l’aspetto umano di ricercare la ricchezza.

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Questi princìpi diventano la tendenza perseguita da molti altri economisti nei decenni successivi che diedero svariate definizioni perdendo pian piano il concetto di occuparsi dei valori e degli obiettivi propri dell’economia.

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Alla fine è emersa come una “scienza positiva”,** analizza “ciò che effettivamente è” ossia la sua finalità è puramente conoscitiva.

E, per tornare alla metafora del cuculo, il nido incustodito va riempito.

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Vuoi sapere quando è nato il Pil?

Non perderti la prossima puntata. 

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Immagine:

Blog LaValnerina.it

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Legenda relativa ai link:

* fonte citata nel libro “Economia della Ciambella”

** approfondimento suggerito da Culturaintour

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⭕ Pil, nato per crescere

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L’economia della ciambella di Kate Raworth – puntata 7

Sette mosse per pensare come un economista del XXI secolo

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1a mossa, Cambiare obiettivo

Passare dal Pil

alla Ciambella in equilibrio

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Pil, nato per crescere

Sul finire del 1929 gli Stati Uniti subirono il crollo della borsa, il cosiddetto “Crollo di Wall Street” e si innescarono una serie di effetti domino portando l’economia americana al collasso: fallimento di banche, chiusura di fabbriche, disoccupazione, caduta verticale di consumi, riduzione di salari, risparmiatori che ritirarono i propri depositi.

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Gli effetti non tardarono e nel disastro cadde l’intera economia mondiale.

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La crisi durò un decennio. La ripresa iniziò nel 1933 con Franklin D. Roosevelt . Il neo eletto presidente adottò un piano di riforme economiche e sociali fra il 1933 e il 1937, detto New Deal. 

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Roosevelt ebbe bisogno di un’unità di misura per monitorare l’andamento dell’economia. Questo compito fu affidato all’economista Simon Kuznets (premio Nobel per l’economia nel 1971) che elaborò il Gross Domestic Product (GDP) in italiano Prodotto Interno Lordo (Pil).

Questa unità di misura consentì al Presidente degli Stati Uniti di controllare l’efficacia del suo programma New Deal: più la linea del Pil volgeva verso l’alto più l’economia stava crescendo.

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Gli Stati Uniti così si risollevarono dalla crisi e presto ci si dimenticò che Kuznets, il padre ideatore del Pil, sin dall’inizio (1937)  volle precisare che il suo indicatore comprendeva solo il valore dei beni e servizi prodotti ma non rifletteva il modo in cui il reddito e il consumo fossero realmente distribuiti e quindi non teneva conto dell’effettivo benessere della società.

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Tuttavia il paradigma della crescita si consolidò fortemente.

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Negli anni Cinquanta l’ascesa economica dell’Unione Sovietica diventò ragione di competizione per gli Stati Uniti che puntarono in modo ancora più determinato a dare impulso all’economia.

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Questo modello venne visto come una panacea capace di risolvere problemi sociali, economici e politici.

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L’idea dell’aumento costante del Pil si sovrappose con l’idea di progresso poiché evocava l’immagine dimovimento che va avanti” o “verso l’alto” modellando il modo di pensare e di parlare.* **

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Negli anni Sessanta Kuznets divenne uno dei critici più accaniti verso la popolarità del Pil evidenziando che il benessere di una nazione difficilmente può essere dedotto dalla misura del reddito nazionale.

Arriviamo agli inizi anni Settanta quando Donella Meadows, una scienziata dei sistemi, non si stancò di mettere in allerta il mondo del pericolo di considerare la crescita economica come illimitata.

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Donella Meadows, una delle principali autrici del rapporto “I limiti della crescita” pubblicato nel 1972 e commissionato dal Club di Roma, fu decisamente chiara a marzo 1999* nel corso di una conferenza quando affermò che “ gli obiettivi devono avere a che fare con la vera realizzazione umana, non solo con l’ottenere di più “.

E poi farsi sempre le domande:  

Crescita di cosa? Crescita perché? Crescita per chi? Quanto tempo può durare? “

Le riflessioni di Donella Meadows possono sembrare di parte ma suona davvero ironico il fatto che lo stesso creatore del Pil, Simon Kuznets, scrisse negli anni Sessanta nel il suo libro “How to judge Quality”: bisogna tenere in mente la distinzione tra quantità e qualità della crescita, tra costi e benefici, tra il breve e il lungo termine. Gli obiettivi dovrebbero essere espliciti: obiettivi di maggiore crescita dovrebbero precisare maggiore crescita di cosa e per cosa.

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Senza ulteriori indugi, è giunto il momento di sfrattare il cuculo dal nido.

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Bisogna concentrarsi su obiettivi che assicurino dignità e opportunità entro i limiti consentiti dal pianeta in modo da  vivere nello spazio sicuro ed equo per l’umanità.

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disegno cuculo #irenerenon

credits: @ireneagh

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⭕ Mercato autosufficiente

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Lʼeconomia della ciambella di Kate Raworth – puntata 9
Sette mosse per pensare come un economista del XXI secolo

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2a mossa, Vedere l’immagine complessiva
Passare dal Mercato autosufficiente
all’Economia integrata

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Mercato autosufficiente

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La scorsa volta ci siamo lasciati con questo interrogativo:
Come venne disegnata l’economia tradizionale per arrivare a questo punto?

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La risposta la troviamo nel “diagramma di flusso circolare” elaborato per la prima volta nel 1948 da Paul Samuelson per illustrare la circolazione del reddito all’interno dell’economia. Il diagramma venne successivamente riproposto nei testi di economia per gli studenti universitari e così arrivò presto a definire l’economia stessa, determinando quali attori economici dovessero essere protagonisti.

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Perché fu pensato e cosa si evince da questo diagramma?

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Sul finire degli anni Quaranta – il mondo usciva dalla Grande Depressione e dalla Seconda Guerra Mondiale – Samuelson si domandava come fare perché il reddito riprendesse a circolare nell’economia americana e quindi, nel disegnare il suo diagramma, si focalizzò sui flussi monetari.
Il fulcro del sistema economico è il mercato (mercato di beni/servizi e mercato del lavoro) che mette in circolo sia flussi monetari sia beni tra due “operatori”: le famiglie e le imprese.

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Le famiglie offrono i propri servizi (lavoro, risparmio) alle imprese in cambio di un flusso monetario (salario, interessi). Il reddito delle famiglie viene speso per acquistare beni e servizi dalle imprese.
Gli unici fattori considerati sono: lavoro e capitale.

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La produzione e il consumo sono strettamente interconnessi e creano il cosiddetto “flusso circolare del reddito”.
A questo flusso si aggiungono tre cicli esterni:
banche commerciali (il flusso di risparmi viene reimmésso nel circolo sotto forma di investimenti)
governi (le imposte e tasse vengono destinate alle spese pubbliche)
commercio (rappresentato dal settore estero con le importazioni e esportazioni)

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Il diagramma, ancora in uso nell’economia mainstream, forniva la base per la misurazione del Pil e del reddito nazionale .

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Il libro di Samuelson sulla circolazione dei flussi monetari ispirò Bill Phillips che costruì una vera macchina idraulica avvalendosi di taniche e tubi con acqua colorata che circolava al suo interno.

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La sua opera chiamata MONIAC**– Monetary National Income Analogue Computer – serviva per modellare i processi economici del Regno Unito.

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Ma, sia il diagramma di flusso di Samuelson sia il MONIAC di Phillips, erano mancanti degli elementi necessari per creare e far funzionare l’economia: non tenevano conto né dell’energia e delle risorse e neppure della società.

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Nel 1947 Friedrich Hayek, Ludwig Von Mises, Frank Knight, Milton Friedman, ispirandosi al liberismo classico di Adam Smith e David Ricardo, abbozzarono quello che un giorno sarebbe diventato il paradigma economico dominante.

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L’intento era di respingere con forza la minaccia del totalitarismo statale che si stava diffondendo in Unione Sovietica.
L’anno successivo, con il diagramma elaborato da Samuelson, si poté dare avvio al pensiero economico neoliberista: Friedman e gli altri abbracciarono una prospettiva a lungo termine con il sostegno del business e di miliardari, finanziarono cattedre e borse di studio e costruirono un network di think tank del “mercato libero” in tutto il mondo.
Il paradigma neoliberista si impose compiutamente negli anni Ottanta con Margaret Tatcher e Ronald Reagan.

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Ecco i suoi principi:

-Il business è innovativo e massimamente efficiente
-la finanza è infallibile
-Il commercio porta vantaggi a tutti
-I governi sono incompetenti
-Il nucleo domestico è appannaggio femminile
-I beni comuni non hanno valore
-La società non esiste
-La natura è inesauribile
-L’energia è irrilevante

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Ma la fede cieca nei mercati che ignora natura, la società e il potere incontrollato delle banche, ci ha portati sull’orlo del collasso ecologico, sociale e finanziario.

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È davvero ora di cambiare paradigma!

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La prossima volta vedremo cos’è l’Economia integrata proposta da Kate Raworth.

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Legenda relativa ai link:

* fonte citata nel libro “Economia della Ciambella”

** approfondimento suggerito da Culturaintour

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⭕ Come creare equilibrio e prosperità

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Lʼeconomia della ciambella di Kate Raworth – puntata 10, prima parte

Sette mosse per pensare come un economista del XXI secolo

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all’Economia integrata

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Come creare equilibrio e prosperità

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La volta scorsa, abbiamo visto come è nato il diagramma di flusso circolare che ha dato origine al modello economico del XX secolo.

Ti riproponiamo il contesto storico.

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Samuelson alla fine degli anni Quaranta – subito dopo la Grande depressione e la Seconda guerra mondiale – si focalizzò sulla necessità di far riprendere a circolare il reddito, per consentire all’economia americana di ripartire.
Come fulcro del suo diagramma, Samuelson mise il flusso monetario e due fattori produttivi (lavoro e capitale).
L’aspetto naturale era totalmente assente.

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Va detto che nel XVIII secolo i fattori produttivi presi in considerazione erano, oltre al lavoro e il capitale, anche la terra intesa come agricoltura.
Infatti nel triennio 1756-1758 l’economista francese François Quesnay fondò la dottrina fisiocratica (da «fisio-», natura e «-crazia»,potere) , secondo cui l’agricoltura è la vera base di ogni altra attività economica. L’industria, che si limita a trasformare la materia prima in prodotti, e il commercio, che li distribuisce, vengono ritenute attività secondarie.

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Nel 1776 con Adam Smith, padre del pensiero economico classico, si chiude il periodo dei fisiocratici. Smith, pur ritenendo ricchezza di una nazione il clima e il suolo, si concentra sulla divisione del lavoro in quanto permette l’incremento della produttività e di conseguenza la ricchezza di una nazione.

Un’altra figura di rilievo del pensiero economico classico è David Ricardo che agli inizi del 1800, pur considerando preoccupante la crescente scarsità di terreno da coltivare nelle colonie, pose la sua attenzione al fattore lavoro.

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Si giunge alla fine del XIX secolo che vede progressivamente abbandonare, da parte degli economisti, la connessione tra sistema produttivo e sistema ambientale: le scoperte scientifiche e tecnologiche davano la visione ottimistica che la crescita potesse essere infinita.

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Nella prima metà del Novecento gli economisti preferiscono adottare un sistema economico lineare. Gli elementi considerati sono solo lavoro e capitale. È l’economia mainstream, termine coniato dallo stesso Paul Samuelson, tuttora insegnata nelle Università di Economia di tutto il mondo.

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Con una popolazione in continua crescita, la crisi ecologia, la deforestazione, i cambiamenti climatici e la scarsità di risorse naturali, le regole del gioco sono cambiate in modo perentorio.

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Dobbiamo fare i conti con una maggiore popolazione mondiale e sempre meno risorse a disposizione. Il pianeta è limitato e pure pesantemente compromesso nella sua capacità di rigenerarsi e assorbire gli impatti negativi dell’attività dell’uomo.

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I dati ci dicono che:

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1776, viene elaborato il pensiero economico di Adam Smith
popolazione mondiale quasi un miliardo di persone
un’economia 300 volte meno sviluppata di quella odierna;

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1948, viene elaborato il pensiero economico di Paul Samuelson
popolazione mondiale 2,5 miliardi di persone
un’economia globale 10 volte inferiore a quella attuale;

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2019, popolazione mondiale 7,7 miliardi

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2030 popolazione mondiate stimata 8,5 miliardi

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Oggi è opportuno porsi la domanda:
Cosa ci serve per vivere in modo dignitoso soddisfacendo i nostri bisogni?.

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Kate ha elaborato la risposta con il suo diagramma “Economia Integrata”: al contrario di Samuelson, torna a reintrodurre la Natura come fattore principale.

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Precisamente tiene conto di:

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Terra con mondo vivente, risorse ed energia del sole;
Società umana con la sua economia costituita da famiglie, Stato, beni comuni e mercato;
l’Economia e la circolazione dei flussi finanziari.

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Conosciamoli tutti nel dettaglio con la seconda parte della puntata 10.

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Ci leggiamo con la prossima puntata.

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⭕ Lʼelemento principale: la Terra

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Lʼeconomia della ciambella di Kate Raworth – puntata 10, seconda parte
Sette mosse per pensare come un economista del XXI secolo

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all’Economia integrata

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L’elemento principale: la Terra

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Il diagramma “Economia Integrata” di Kate Raworth considera come elemento principale la Terra.

L’economia si serve del pianeta e deve quindi, necessariamente, tenere conto dei suoi ecosistemi.

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Il diagramma dell’Economia della Ciambella dà una visione complessiva in quanto rappresenta:

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la Terra con mondo vivente, risorse ed energia del sole;
la Società umana con la sua economia costituita da famiglie, Stato, beni comuni e mercato;
l’Economia e la circolazione dei flussi finanziari.

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Vediamoli ora nel dettaglio:

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T E R R A

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La Natura ci dà la vita quindi è necessario rispettarne i suoi confini planetari.

In prima battuta l’economia per la sua produzione si serve del pianeta come fonte da cui attinge ogni forma di risorsa: energia, acqua, materie prime, patrimonio vegetale e animale.

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Il flusso di materie è rappresentato nel diagramma con la freccia nera (vedi immagine sopra).

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In un secondo tempo, dopo la produzione e il consumo, la Terra è usata dall’economia come pozzo per accogliere gli scarti (ogni sorta di rifiuto e inquinamento).

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La direzione del flusso di rifiuti è rappresentato dalla freccia arancione del diagramma.

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Il processo naturale della Terra, al contrario dell’economia, è un sistema chiuso e circolare basato su un perfetto equilibrio: qualsiasi elemento vivente o non vivente rimane al suo interno senza generare rifiuti.
Solo l’energia del sole fluisce : arriva e se ne va.

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La prima cosa da fare è quindi definire l’economia come un sottosistema aperto del sistema chiuso-Terra.

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Un altro elemento da tenere presente per le teorie economiche del nostro tempo non è più il denaro ma l’energia.
La maggior parte dell’energia che fa funzionare l’economia globale è quella che arriva dal Sole: consente di far crescere le colture, le foreste e il bestiame.

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L’altro tipo di energia utilizzata per l’economia è principalmente quella che deriva dai combustili fossili (carbone, petrolio, gas).
Qui arriviamo al punto critico che ha dato origine ai cambiamenti climatici.

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Nell’era dell’Olocene durata circa 12000 anni, l’energia del Sole entrava nell’atmosfera terreste e successivamente il calore veniva disperso nello spazio. Questo perfetto equilibrio ha consentito di avere nel periodo olocenico temperature gradevoli e stabili.

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Con la rivoluzione industriale, circa 200 anni fa e soprattuto con e dopo il boom economico degli anni Cinquanta, il delicato equilibrio naturale è stato progressivamente compromesso a causa dell’utilizzo massiccio dei combustili fossili.

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La combustione di petrolio, gas e carbone infatti genera il rilascio in atmosfera di enormi quantità di anidride carbonica e altri gas a ritmi che non hanno precedenti nella storia umana. Questo processo iniziato molti decenni fa in un crescendo esponenziale e irreversibile sta provocando il famigerato effetto serra che a sua volta determina il surriscaldamento globale.

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Va precisato che esiste un effetto serra naturale con vede la presenza di gas in atmosfera che permettono alla Terra di mantenere una temperatura media di +15° che favorisce la vita sul pianeta.

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In assenza di un effetto serra naturale la temperatura media sarebbe di -18°

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Diverso è l’incessante effetto serra innescato dall’attività umana che provoca il riscaldamento globale compromettendo gli ecosistemi e la biosfera.

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Le conseguenze dei cambiamenti climatici si manifestano attraverso fenomeni meteo estremi come uragani, tempeste e inondazioni, scioglimento dei ghiacci polari, desertificazione e incessante perdita della biodiversità.

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Ecco perché gli scienziati ci dicono che abbiamo alle spalle l’era dell’Olocene e siamo nell’era dell’Antropocene.

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Le attività dell’uomo stanno causando dei cambiamenti profondi al sistema Terra, superiori alle forze di origine astronomica, geofisica e interna allo stesso sistema.

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Finisce qui la seconda parte.
Nella terza ed ultima parte conosceremo nel dettaglio la Società e l’Economia secondo la visione di Kate Raworth.

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Se ti è piaciuto l’articolo, condividilo.

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⭕ Società e economia

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Lʼeconomia della ciambella di Kate Raworth – puntata 10, terza parte
Sette mosse per pensare come un economista del XXI secolo

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2a mossa, Vedere l’immagine complessiva
Passare dal Mercato autosufficiente
all’Economia integrata

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Società e economia

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Il diagramma dell’Economia della Ciambella comprende:

la Terra con mondo vivente, risorse ed energia del sole;
la Società umana con la sua economia costituita da famiglie, Stato, beni comuni e mercato;
l’Economia e la circolazione dei flussi finanziari.

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Dopo aver visto la T E R R A la volta scorsa, passiamo a vedere nel dettaglio:

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S O C I E T À

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Una comunità sana è caratterizzata dalla sua capacità di creare al suo interno reti di relazioni e fiducia.

Questi elementi in una collettività danno come risultato la coesione sociale, la cooperazione, la partecipazione.

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Il Prof. Robert Putnam, politologo statunitense, con i suoi studi ha dimostrato che le relazioni fra istituzioni pubbliche, fiducia delle comunità locali e attivismo sociale si trasformano in qualità, sostenibilità e legittimazione delle politiche che si riflettono in numerosi ambiti: economia, sanità, sociale, cultura, educazione, ambiente.

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Questo patrimonio di risorse e di benefici viene definito da Putnam, capitale sociale*.

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Lo storico Howard Zinn analizzò numerosi fenomeni sociali e dichiarò che “cambiamenti significativi si verificano quando i movimenti sociali raggiungono un punto critico di potere in grado di spostare i politici cauti* oltre la loro tendenza a mantenere le cose come sono – o quando questi movimenti, con l’azione diretta, aggirano il sistema politico e determinano il cambiamento agendo direttamente sugli ostacoli da cambiare”.

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Questo avvenne per esempio quando il movimento contro la schiavitù tra gli anni 1850 e 1860 spinse il presidente A. Lincoln verso la proclamazione di emancipazione e quando il crescente movimento operaio degli anni Trenta indusse il presidente Franklin D.Roosevelt a varare le riforme del New Deal: salario minimo, Previdenza sociale, alloggi sovvenzionati.

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E C O N O M I A

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Secondo il diagramma di Kate Raworth, all’interno della società vi è incorporata l’economia ove le persone producono, distribuiscono e consumano beni e servizi che soddisfano bisogni e desideri umani.

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Le componenti dell’economia sono:

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le famiglie che forniscono beni e servizi essenziali per i propri componenti;
il mercato che produce beni privati per coloro che vogliono acquistarli;
i beni comuni che producono beni collettivi per la comunità;
lo Stato che produce beni e servizi pubblici per tutta la popolazione.

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Con il diagramma di Economia Integrata si evince che alle persone vengono riconosciute più identità sociali ed economiche e non sono solo lavoratori o consumatori o possessori di capitali come invece fa il diagramma di Samuelson.

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Le famiglie

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Il lavoro domestico, fatto di cura e di assistenza per tutto il nucleo familiare in forma gratuita svolto soprattutto dalle donne, deve essere rivalutato.

Il lavoro domestico costituisce “l’economia fondamentale” di una società avendo il ruolo primario per il raggiungimento del benessere umano: la produttività dell’economia retribuita dipende direttamente da esso.

Per fare un esempio concreto tutti i servizi (asili nido, assistenza alla comunità, centri per la gioventù, etc) che il settore pubblico non può soddisfare per mancanza di fondi vengono addossati ai nuclei familiari che se ne fanno carico con le proprie risorse.

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Occorre quindi definire il lavoro domestico come economia fondamentale con un ruolo centrale e ridistribuito perché ancora oggi svolto essenzialmente dalle donne che sono penalizzate in termini di opportunità di lavoro, reddito, posizione sociale.

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Il mercato

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Il mercato ha un enorme potere. Ecco perché occorre passare da un mercato libero a un mercato integrato ossia una regolamentazione pubblica che integra il mercato in un diverso insieme di regole politiche, legali e culturali, cambiando chi si prende i rischi e i costi e chi raccoglie i frutti del cambiamento.

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I beni comuni

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I beni comuni hanno un enorme potenziale creativo. I beni comuni possono essere beni naturali o sociali o culturali o digitali: sono risorse condivisibili gestite e utilizzate dalla comunità in modo autonomo pressoché senza l’intervento dello Stato o del mercato.
È fruitore del valore generato direttamente chi ha contribuito a creare il bene comune (un esempio nel mondo digitale può essere Wikipedia).

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Lo Stato

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Milton Friedman, padre del pensiero neoliberista, riteneva che il ruolo economico dello Stato dovesse limitarsi all’applicazione delle leggi, a garantire la sicurezza della nazione e della proprietà privata. Questi infatti erano i prerequisiti necessari al funzionamento dei mercati.
Di parere contrario era lo stesso Paul Samuelson che attribuiva allo Stato un ruolo fondamentale e creativo nella vita economica.
A oggi nel mondo economico le posizioni di Friedman hanno la meglio.

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L’Economia integrata vede lo Stato con un ruolo attivo e quale connettore tra famiglie, beni comuni, mercato.

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Lo Stato ha la funzione di:

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1.fornire tutti i beni pubblici (scuole, ospedali, strade. etc);
2.sostenere le famiglie con politiche sociali quando queste svolgono un compito di cura per i bambini/istruzione o assistenza agli anziani;
3.favorire il dinamismo e lo spirito collaborativo dei beni comuni ;

4.partner economico che sostiene e agevola il potenziale del mercato che è finalizzato al bene comune.

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La finanza

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Oggi la finanza non è di supporto all’economia ma la domina.

In alcuni casi determina persino l’instabilità del mercato.

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È ora di riprogettare una finanza in modo che sia al servizio dell’economia e della società.
Le aziende inoltre hanno bisogno di una visione più ampia nel XXI secolo rispetto a quella di Friedman che si è dimostrata fallimentare.

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Occorre che le imprese siano incubatrici di creatività e con uno scopo più stimolante rispetto alla semplice massimizzazione del profitto.

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La teoria economica classica elaborata nel XIX secolo da David Ricardo non è più praticabile viste le dinamiche derivanti dalla globalizzazione.
Il commercio è divenuto un’arma a doppio taglio che rende vulnerabili i mercati.

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I governi devono cooperare se vogliono che i flussi transfrontalieri diano benefici a tutti.
Il commercio quindi deve essere equo.

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Come denunciato dal movimento Occupy Wall Street, nato nel 2011 gli abusi di potere del capitalismo finanziario, provocano una grave iniquità economica e sociale che è andata accentuandosi negli anni.

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Infatti la concentrazione di ricchezza e di reddito in mano a pochi miliardari si trasforma inevitabilmente in potere capace di agire sul funzionamento dell’economia e della politica.

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Nel XXI secolo è di vitale importanza ridistribuire la ricchezza e il reddito per contrastare il potere delle élite e rafforzare quello dei cittadini.

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Condividi questo articolo e continua a seguirci perché tutti questi aspetti sono ripresi nei prossimi articoli a partire dall’Homo economicus.

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Legenda relativa ai link:

* fonte citata nel libro “Economia della Ciambella”

** approfondimento suggerito da Culturaintour

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⭕ Un uomo da dimenticare

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Lʼeconomia della ciambella di Kate Raworth – puntata 11
Sette mosse per pensare come un economista del XXI secolo

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3a mossa, Coltivare la natura umana
Passare dall’Uomo economico razionale
a Esseri umani sociali adattabili

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Un uomo da dimenticare

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Nell’immagine puoi vedere come Kate Raworth ha raffigurato l’homo economicus.

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Una delle storie più pericolose dell’economia del XX secolo è la rappresentazione dell’umanità come uomo economico razionale.

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Facciamo un salto indietro nel tempo per capire a quando risale la nascita di questa rappresentazione.

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Dobbiamo fare riferimento ad Adam Smith, il fondatore dell’economia politica liberale, con le sue pubblicazioni: nel 1759 The Theory of Moral Sentiments (Teoria dei sentimenti umani) e nel 1766 The Wealth of Nations (La ricchezza delle nazioni).

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Adam Smith pensava che l’uomo avesse una sua natura egoistica ma allo stesso tempo dotato di principi che lo fanno interessare alla sorte degli altri anche in forma disinteressata.

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Tuttavia il prototipo di individuo che combinasse l’aspetto egoistico e quello di propensione ad occuparsi dei suoi simili lo rendeva un personaggio complesso e imprevedibile che non poteva essere in sintonia con la politica economica.

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L’economia infatti necessitava di un uomo estremamente “razionale” con interesse esclusivo per la cura dei suoi propri interessi individuali capace di calcolo utilitaristico avendo come obiettivo la massimizzazione del proprio benessere (va precisato che il termine “razionale” in questo contesto non ha lo stesso significato nell’uso comune o nella filosofia o nell’etica).

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Il significato di razionalità riferito all’uomo economico è di perseguire i propri obiettivi con una mentalità “calcolatrice” avendo come obiettivo esclusivamente il proprio benessere.

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Nel 1844 l’economista John Stuart Mill affermò che l’economia politica non tratta il complesso della natura umana ma vede l’uomo solamente in quanto essere desideroso di ricchezza aggiungendo a questa rappresentazione il disprezzo per il lavoro e l’amore per il lusso.

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L’homo economicus per Mill era il modo in cui la scienza doveva necessariamente procedere.

Nel 1880 l’economista Charles Stanton Devas criticò aspramente Mill per aver dato un’astratta semplificazione della complessa realtà umana perché di fatto stava proponendo come modello un “animale cacciatore di dollari”.

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Nonostante le obiezioni, la teoria economica nel tempo a seguire, supportò il modello Homo economicus fino a plasmarne i comportamenti sociali e persino il linguaggio.

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Se si è fortemente convinti di una determinata natura umana, quali sono le conseguenze nella società?

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L’economista Robert H. Frank sulla base dei questa domanda, condusse una ricerca la cui conclusione è stata che “le nostre credenze sulla natura umana contribuiscono a plasmare la natura umana stessa” ossia diventiamo ciò che ci diciamo che siamo.

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Tendenzialmente gli studenti che hanno una formazione economica sono più egoisti rispetto agli altri.

Robert H. Frank, assieme a Thomas Gilovich e Dennis Regan della  Cornell University, nel 1993 furono impegnati in unindagine sul comportamento degli studenti che avevano una formazione economica**.

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Lo scopo era analizzare in quale misura l’esposizione al modello di interesse personale, proprio delle teorie economiche accademiche, potesse influenzare o alterare la condotta di un individuo.

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Dal risultato emerse che quasi il 61 percento degli studenti di economia mostrava una spiccata propensione ad essere egoista contro il 39 percento degli studenti di altre facoltà.

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A convalidare l’ipotesi secondo cui la formazione accademica influenzi in modo decisivo logiche comportamentali, vi è un altro studio condotto in Germania.

Nel 1997 B. Frank e G. Schulze di un’università tedesca, a seguito di una ricerca analoga, risultò che gli studenti di economia sono significativamente più corruttibili dei colleghi delle altre facoltà.

Nello specifico venne creata una situazione in cui gli studenti si trovavano di fronte alla scelta di perseguire il proprio interesse personale oppure il benessere sociale**.

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L’esperimento aveva come finalità di valutare quanto il livello di egoismo individuale prevalesse sul bene comune.
Risultò un netto distacco tra gli studenti di economia rispetto a studenti di altre facoltà.

I primi avevano spiccati comportamenti opportunistici.

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La tesi però aggiungeva anche un’altra ipotesi e cioè che gli studenti di economia scelgano questo tipo di studi perché già predisposti a una mentalità in cui domina il proprio tornaconto a discapito del benessere degli altri.

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Il fatto diventa inquietante se si pensa che il modello “uomo economico razionale” va oltre le aule universitarie e influenza il mondo reale, quello finanziario per esempio.

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Donald MacKenzie e Yuval Millo, sociologi nell’economia, ebbero a dire:

L’economia finanziaria contribuisce a creare nella realtà il tipo di mercati ipotizzati nella teoria e se le teorie sono sbagliate, i risultati sono catastrofici.”

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Il modello “uomo economico razionale” ha ridefinito anche il linguaggio.
Nel XX secolo è diventata una costante nella vita pubblica parlare di “consumatore” al posto di “cittadino”.

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“Bisogna fare attenzione a ciò che esprimono le parole – spiega Justin Lewis, analista dei media e della cultura – perché il cittadino ha un ruolo in ogni aspetto della vita, da quella culturale, sociale ed economica. Il consumatore invece trova una dimensione solamente nel mercato”.

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Non trovi interessanti questi studi?

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Continua a seguirci per scoprire cosa ci propone Kate Raworth.

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Legenda relativa ai link:

* fonte citata nel libro “Economia della Ciambella”

** approfondimento suggerito da Culturaintour

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⭕ L’umanità ideale in 5 passi… 1,2

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Lʼeconomia della ciambella di Kate Raworth – puntata 12, prima parte
Sette mosse per pensare come un economista del XXI secolo

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3a mossa, Coltivare la natura umana
Passare dall’Uomo economico razionale
a Esseri umani sociali adattabili

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L’umanità ideale in 5 passi… 1,2

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La scorsa volta abbiamo spiegato quanto sia importante definire nella nostra mente un’immagine precisa di ciò che vogliamo essere perché ciò determina ciò che diventiamo e, di conseguenza, come agiamo nella realtà.

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Ecco perché è essenziale che l’economia abbandoni come modello l’uomo economico e passi a considerare il genere umano nella sua complessità.

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Con questa prospettiva si potranno creare economie per prosperare e vivere nello spazio sicuro ed equo della Ciambella.

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Per creare la nuova immagine dell’umanità e lasciare la raffigurazione dell’uomo economico bisogna mettere in atto cinque cambiamenti dal momento che:

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1.siamo esseri sociali e riconoscenti (e non strettamente egoistici)

2.abbiamo valori fluidi (e non gusti fissi)

3.siamo interdipendenti (e non isolati)

4.siamo approssimativi (e non calcolatori)

5.siamo parte della biosfera (e non dominatori della natura)

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Bisogna tenere presente un aspetto rilevante in merito a questi cinque cambiamenti.

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Seppur si faccia riferimento a una gran quantità di esperimenti di psicologia comportamentale, le indagini risultano incomplete: gli studi sono condotti prevalentemente in paesi occidentali i cui ricercatori utilizzano “soggetti campione” che sono gli studenti delle loro stesse università.

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Questo vuol dire che le indagini danno una visione parziale del comportamento umano perché si basano principalmente sulla medesima appartenenza culturale che non corrisponde neppure alla maggioranza della popolazione globale.

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Ad oggi sono poche le ricerche che ci aiutano a comprendere l’origine così profonda della diversità di comportamenti tra culture e società.

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Joseph Henrich con la sua ricerca ci dice che i valori della cultura occidentale sono determinati e specifici piuttosto che universali o naturali.

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Per il suo lavoro –The WEIRDest People in the World* **– si è inventato l’acronimo WEIRD (Western, Educated, Industrialized, Rich and Democratic) ossia gente STRANA (occidentale, istruita, industrializzata, ricca, democratica).

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Possiamo però considerare come validi due presupposti.
Uno è che sicuramente la natura umana non corrisponde all’uomo economico razionale.
L’altro è che, fino a quando non vi saranno ricerche che diano una visione più completa dell’umanità che tenga conto di altre culture e organizzazioni umane, le cinque aree sopra descritte rappresentano fedelmente l’umanità occidentale.

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1. Da egoisti a socialmente riconoscenti

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Per capire questo aspetto della natura umana occorre risalire all’evoluzione dell’Homo Sapiens. Per motivi strettamente legati alla sopravvivenza, l’uomo si è evoluto come animale fortemente collaborativo. La capacità della nostra specie di comportarsi in modo prosociale può essere basata su meccanismi psicologici unici per l’uomo. Questi meccanismi includono la capacità di prendersi cura del benessere degli altri (preoccupazioni riguardanti gli altri), di “sentire dentro” gli altri (empatia) e di comprendere, aderire e far rispettare le norme sociali (normatività)* **.

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Nel DNA degli esseri umani vi è l’attenzione ai propri interessi ma esiste anche la propensione ad aiutare gli altri: caratteristiche che si traducono in attitudine alla condivisione e alla reciprocità.

Attraverso queste attitudini l’uomo ha sviluppato il commercio, a livello relazionale lo si vede dal semplice portare i bagagli di persone fragili a fare beneficenza o donando persino i propri organi.

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Per sopravvivere quindi abbiamo necessariamente imparato ad andare d’accordo e a collaborare*.

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Collaboriamo, però, a patto che la reciprocità sia rispettata altrimenti tendiamo a punire i trasgressori.

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Dare e avere: questi due elementi sanciscono un patto per garantire salda la cooperazione e la fiducia.
Nel mondo contemporaneo queste norme sociali, non a caso, sono utilizzate nei portali internet attraverso le valutazioni e/o le recensioni. Da un lato le aziende vogliono mostrare la propria reputazione per meritare fiducia e dall’altra gli utenti, attraverso le recensioni, manifestano la propensione umana a collaborare a difesa del “gruppo”.

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Come accennato il livello di reciprocità e le norme sociali variano tra diverse culture in base alla struttura dell’economia.

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Per chiarire quest’ultimo concetto facciamo un esempio.
I Nord americani vivono in un’economia di mercato marcatamente interconnessa e quindi è particolarmente alto il livello di reciprocità che diviene necessario per far funzionare l’economia.
Tale comportamento sociale è stato oggetto di studi sperimentali all’interno di tribù.

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I Machiguenga, un gruppo indigeno in Perù, soddisfano la maggior parte dei loro fabbisogni nell’ambito dei nuclei familiari con scarsi scambi con il resto della comunità.
Il risultato di questa struttura socio-economica, è che gli abitanti hanno sviluppato un basso livello di dipendenza comunitaria e quindi una scarsa propensione alla reciprocità.

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Al contrario è l’organizzazione dei Lamelara, una tribù in Indonesia la cui attività di sussistenza dipende dalla caccia alle balene che viene condotta in gruppi di una dozzina di uomini a bordo di una canoa.
L’esito della caccia è un successo collettivo determinato dal livello di cooperazione.
Inoltre, una volta instaurato un certo grado di fiducia, questa persiste ed esercita la sua influenza sulle relazioni economiche che si trasmette anche alle generazioni successive.

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I risultati delle indagini sul comportamento umano* condotte da Joseph Henrich fanno emergere che le norme sociali di reciprocità variano in funzione della struttura dell’economia generando implicazioni nei ruoli dei nuclei familiari, del mercato, dei beni comuni e dello Stato.

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2. Da preferenze fisse a valori fluidi

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Finora la teoria economica si è basata sul presupposto che le persone debbano avere gli stessi gusti a partire da quando si è bambini.

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La pubblicità forgia le menti sin dalla tenera età impiantando preferenze e desideri da soddisfare.

Gli adulti sono consumatori che hanno potere di acquisto e colmano preferenze già acquisite.

Ma com’è stato possibile tutto questo?

Dobbiamo risalire agli anni Venti e conoscere una delle figure più influenti del XX secolo: Edward Louis Bernays, geniale pubblicitario statunitense nonché nipote di Sigmund Freud**.

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Questo personaggio è stato uno dei padri delle moderne relazioni pubbliche, delle quali, già nei primi anni del Novecento, ne aveva teorizzato le principali regole fondanti.
Studiando gli scritti di suo zio Freud sui meccanismi di funzionamento della mente umana, Bernays ne riprese un concetto fondamentale su cui fondò il suo successo di pubblicitario: “c’è molto di più dietro la scelta di prendere le decisioni, non solo a livello individuale, ma soprattutto, a livello di gruppi”.

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“La manipolazione consapevole e intelligente delle abitudini e delle idee delle masse è un aspetto importante del funzionamento di una società democratica” scrisse nel suo libro “Propaganda”* pubblicato nel 1928.

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Formulò l’ipotesi secondo cui, più che le caratteristiche di un prodotto, influenzavano in modo incisivo le pubblicità che evocavano le emozioni inconsce delle persone tanto da guidare il comportamento delle masse.

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A lui si deve la tradizionale colazione americana con uova e bacon**. All’epoca ci fu un’intensa campagna pubblicitaria condotta per conto dell’azienda Beech-Nut packing Co, settore prodotti di carne suina.

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Nei suoi messaggi Bernays richiamava valori profondamente radicati negli americani, come libertà, potere benessere, associandoli a gusti o opinioni.

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Anche l’abitudine delle donne a fumare ci conduce a Bernays.
Nel 1928, George Washington Hill, Presidente dell’American Tobacco Company, intuì il potenziale che avrebbe potuto ricavare aprendo il mercato della sigarette alle donne e chiese aiuto a Bernays che studiò meticolosamente il suo piano.
Utilizzando lo slogan Torches of Freedom* ossia le “torce della libertà” indusse gran parte della popolazione femminile a fumare in un’epoca storica in cui era ritenuto inappropriato.

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Il fatto di poter fumare, come da copione, venne percepito come forma di liberazione per le donne, la loro possibilità di esprimere la loro forza e la loro libertà.

A partire dal 1980 Shalom H. Schwartz, psicologo sociale e ricercatore interculturale assieme ad altri suoi colleghi, condusse una lunga indagine su un’ottantina di paesi nel mondo.

Identificò un sistema motivazionale comune agli individui di tutte le culture che guida le scelte individuali.

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La ricerca, durata una decina di anni, si concluse con la formulazione de

La teoria della Struttura Psicologica Universale dei Valori** meglio nota come “La teoria dei valori”.

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Il sistema proposto da Schwartz è composto da dieci valori che vengono suddivisi in categorie che sono caratterizzate da similarità ma anche incompatibilità.

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Ne risulta una struttura di due dimensioni bipolari:

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Autotrascendenza comprende i valori di Universalismo e Benevolenza vs Autoaffermazione che comprende i valori di Edonismo, Successo, Potere;

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Apertura al Cambiamento che comprende i valori di Autodirezione, Stimolazione, Edonismo vs Conservatorismo che comprende i valori di Conformismo, Tradizione, Sicurezza.

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Questa scoperta quindi mette in evidenza tre punti:

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Il primo è che tutti i dieci valori sono presenti in tutti gli esseri umani e variano non solo da un individuo all’altro ma anche da una cultura all’altra;

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Secondo, ogni valore può essere attivato semplicemente se viene stimolato;

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Terzo, ognuno di questi valori cambia non solo nell’arco della vita di una persona ma nel corso di una giornata in base al ruolo e al contesto che ricopre un individuo.

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Da ciò si evince la complessità della natura umana che è ben lontana da quella ritratta con il modello dell’uomo economico razionale.

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Per conoscere meglio gli altri cambiamenti, non perderti la prossima puntata.

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Legenda relativa ai link:

* fonte citata nel libro “Economia della Ciambella”

** approfondimento suggerito da Culturaintour

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