⭕ Società e economia

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Lʼeconomia della ciambella di Kate Raworth – puntata 10, terza parte
Sette mosse per pensare come un economista del XXI secolo

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2a mossa, Vedere l’immagine complessiva
Passare dal Mercato autosufficiente
all’Economia integrata

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Società e economia

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Il diagramma dell’Economia della Ciambella comprende:

la Terra con mondo vivente, risorse ed energia del sole;
la Società umana con la sua economia costituita da famiglie, Stato, beni comuni e mercato;
l’Economia e la circolazione dei flussi finanziari.

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Dopo aver visto la T E R R A la volta scorsa, passiamo a vedere nel dettaglio:

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S O C I E T À

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Una comunità sana è caratterizzata dalla sua capacità di creare al suo interno reti di relazioni e fiducia.

Questi elementi in una collettività danno come risultato la coesione sociale, la cooperazione, la partecipazione.

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Il Prof. Robert Putnam, politologo statunitense, con i suoi studi ha dimostrato che le relazioni fra istituzioni pubbliche, fiducia delle comunità locali e attivismo sociale si trasformano in qualità, sostenibilità e legittimazione delle politiche che si riflettono in numerosi ambiti: economia, sanità, sociale, cultura, educazione, ambiente.

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Questo patrimonio di risorse e di benefici viene definito da Putnam, capitale sociale*.

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Lo storico Howard Zinn analizzò numerosi fenomeni sociali e dichiarò che “cambiamenti significativi si verificano quando i movimenti sociali raggiungono un punto critico di potere in grado di spostare i politici cauti* oltre la loro tendenza a mantenere le cose come sono – o quando questi movimenti, con l’azione diretta, aggirano il sistema politico e determinano il cambiamento agendo direttamente sugli ostacoli da cambiare”.

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Questo avvenne per esempio quando il movimento contro la schiavitù tra gli anni 1850 e 1860 spinse il presidente A. Lincoln verso la proclamazione di emancipazione e quando il crescente movimento operaio degli anni Trenta indusse il presidente Franklin D.Roosevelt a varare le riforme del New Deal: salario minimo, Previdenza sociale, alloggi sovvenzionati.

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E C O N O M I A

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Secondo il diagramma di Kate Raworth, all’interno della società vi è incorporata l’economia ove le persone producono, distribuiscono e consumano beni e servizi che soddisfano bisogni e desideri umani.

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Le componenti dell’economia sono:

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le famiglie che forniscono beni e servizi essenziali per i propri componenti;
il mercato che produce beni privati per coloro che vogliono acquistarli;
i beni comuni che producono beni collettivi per la comunità;
lo Stato che produce beni e servizi pubblici per tutta la popolazione.

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Con il diagramma di Economia Integrata si evince che alle persone vengono riconosciute più identità sociali ed economiche e non sono solo lavoratori o consumatori o possessori di capitali come invece fa il diagramma di Samuelson.

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Le famiglie

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Il lavoro domestico, fatto di cura e di assistenza per tutto il nucleo familiare in forma gratuita svolto soprattutto dalle donne, deve essere rivalutato.

Il lavoro domestico costituisce “l’economia fondamentale” di una società avendo il ruolo primario per il raggiungimento del benessere umano: la produttività dell’economia retribuita dipende direttamente da esso.

Per fare un esempio concreto tutti i servizi (asili nido, assistenza alla comunità, centri per la gioventù, etc) che il settore pubblico non può soddisfare per mancanza di fondi vengono addossati ai nuclei familiari che se ne fanno carico con le proprie risorse.

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Occorre quindi definire il lavoro domestico come economia fondamentale con un ruolo centrale e ridistribuito perché ancora oggi svolto essenzialmente dalle donne che sono penalizzate in termini di opportunità di lavoro, reddito, posizione sociale.

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Il mercato

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Il mercato ha un enorme potere. Ecco perché occorre passare da un mercato libero a un mercato integrato ossia una regolamentazione pubblica che integra il mercato in un diverso insieme di regole politiche, legali e culturali, cambiando chi si prende i rischi e i costi e chi raccoglie i frutti del cambiamento.

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I beni comuni

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I beni comuni hanno un enorme potenziale creativo. I beni comuni possono essere beni naturali o sociali o culturali o digitali: sono risorse condivisibili gestite e utilizzate dalla comunità in modo autonomo pressoché senza l’intervento dello Stato o del mercato.
È fruitore del valore generato direttamente chi ha contribuito a creare il bene comune (un esempio nel mondo digitale può essere Wikipedia).

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Lo Stato

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Milton Friedman, padre del pensiero neoliberista, riteneva che il ruolo economico dello Stato dovesse limitarsi all’applicazione delle leggi, a garantire la sicurezza della nazione e della proprietà privata. Questi infatti erano i prerequisiti necessari al funzionamento dei mercati.
Di parere contrario era lo stesso Paul Samuelson che attribuiva allo Stato un ruolo fondamentale e creativo nella vita economica.
A oggi nel mondo economico le posizioni di Friedman hanno la meglio.

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L’Economia integrata vede lo Stato con un ruolo attivo e quale connettore tra famiglie, beni comuni, mercato.

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Lo Stato ha la funzione di:

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1.fornire tutti i beni pubblici (scuole, ospedali, strade. etc);
2.sostenere le famiglie con politiche sociali quando queste svolgono un compito di cura per i bambini/istruzione o assistenza agli anziani;
3.favorire il dinamismo e lo spirito collaborativo dei beni comuni ;

4.partner economico che sostiene e agevola il potenziale del mercato che è finalizzato al bene comune.

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La finanza

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Oggi la finanza non è di supporto all’economia ma la domina.

In alcuni casi determina persino l’instabilità del mercato.

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È ora di riprogettare una finanza in modo che sia al servizio dell’economia e della società.
Le aziende inoltre hanno bisogno di una visione più ampia nel XXI secolo rispetto a quella di Friedman che si è dimostrata fallimentare.

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Occorre che le imprese siano incubatrici di creatività e con uno scopo più stimolante rispetto alla semplice massimizzazione del profitto.

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La teoria economica classica elaborata nel XIX secolo da David Ricardo non è più praticabile viste le dinamiche derivanti dalla globalizzazione.
Il commercio è divenuto un’arma a doppio taglio che rende vulnerabili i mercati.

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I governi devono cooperare se vogliono che i flussi transfrontalieri diano benefici a tutti.
Il commercio quindi deve essere equo.

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Come denunciato dal movimento Occupy Wall Street, nato nel 2011 gli abusi di potere del capitalismo finanziario, provocano una grave iniquità economica e sociale che è andata accentuandosi negli anni.

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Infatti la concentrazione di ricchezza e di reddito in mano a pochi miliardari si trasforma inevitabilmente in potere capace di agire sul funzionamento dell’economia e della politica.

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Nel XXI secolo è di vitale importanza ridistribuire la ricchezza e il reddito per contrastare il potere delle élite e rafforzare quello dei cittadini.

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Condividi questo articolo e continua a seguirci perché tutti questi aspetti sono ripresi nei prossimi articoli a partire dall’Homo economicus.

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Legenda relativa ai link:

* fonte citata nel libro “Economia della Ciambella”

** approfondimento suggerito da Culturaintour

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⭕ Pronti alla danza dinamica? 2a lezione

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Lʼeconomia della ciambella di Kate Raworth – puntata 14, seconda parte

Sette mosse per pensare come un economista del XXI secolo 

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4a mossa, Comprendere i sistemi

Passare dall’Equilibrio meccanico

alla Complessità dinamica

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Pronti alla danza dinamica? 2a lezione

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Ora che stiamo imparando a diventare “pensatori sistemici”, lo abbiamo visto qui, non ci possiamo più stupire di quanto succede nelle nostre società e a livello globale con la dinamica della disuguaglianza.

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Nell’economia dell’equilibrio – ossia nell’economia mainstream – la disuguaglianza ha un’importanza marginale. Il focus è rivolto ai mercati che devono essere efficienti.

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In realtà viviamo in un mondo in disequilibrio, un mondo in cui entrano in gioco i feedback per cui si generano circoli virtuosi della ricchezza e circoli viziosi della povertà che fanno finire le persone agli estremi opposti nella distribuzione della ricchezza.

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Gli esperti di sistemi chiamano questo fenomeno la trappola del “successo a chi ha successo”: i vincitori continuano a vincere e i perdenti continuano a perdere: la teoria dell’equilibrio potenzia i feedback rinforzanti generando oligopoli se non addirittura monopoli.

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Come sosteneva l’economista Piero Sraffa sin dal 1926 molte imprese, perlopiù quelle che producono beni di consumo, operano in condizioni di costi decrescenti che permettono di porsi sul mercato a prezzi ridotti come se operassero in regime di monopolio. **

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La vantata concorrenza perfetta dell’equilibrio meccanico non esiste e questo emerge per esempio nel settore agroalimentare dove il commercio dei cereali è concentrato in soli 4 colossi.**

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Ti basta giocare a Monopoli per conoscere il sistema del “successo a chi ha successo”.

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Tutti i giocatori cominciano alla pari ma, quelli che per primi riescono a piazzare gli  alberghi nelle migliori proprietà, potranno accaparrarsi gli affitti dagli altri giocatori e quindi permettersi di comprare altri alberghi.

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Così finisce che più alberghi si possiedono più alberghi si possono comprare mandando in bancarotta gli altri.

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Pensare che le regole del gioco inizialmente prevedevano la cooperazione fra i giocatori.

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Elizabeth Magie,  l’inventrice di Monopoli, si ispirò  alle teorie di Henry George, un economista che osteggiava la proprietà privata della terra ** il quale sosteneva che ciò che si trova in natura appartiene a tutta l’umanità.

Nelle intenzioni di creare un gioco, Elizabeth Magie voleva denunciare l’ingiustizia derivante da proprietà detenute da pochi. Nel 1903, dopo molti anni di lavoro, il gioco venne terminato.

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Lo svolgimento del gioco era articolato in due fasi ognuna delle quali seguiva un proprio regolamento.

Una fase prevedeva una serie di regole con una visione per la “ricchezza condivisa” – ispirata alla proposte di Henry George che sosteneva una tassa sul valore del terreno – l’altra invece era indirizzata a una visione “monopolista” dove vince chi riesce a mandare in bancarotta gli altri.

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L’ approccio dualistico che aveva previsto Elizabeth Magie voleva essere uno strumento didattico volto a dimostrare che il primo insieme di regole era eticamente superiore e portava a risultati sociali completamente differenti se messi a confronto.

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Il “Monopoli” che conosciamo e che si è largamente diffuso in tutto il mondo però ha regole completamente diverse. Negli anni Trenta infatti, la Parker Brother acquistò il nome del brevetto del gioco “The Landlor’s Game” (“La strategia del proprietario terriero”) – nome originale che diede Elizabeth Magie – e lo rilanciò come “Monopoli” diventando quindi un nuovo gioco. Venne infatti mantenuta solo la versione “monopolista” semplificandola e modificando alcune regole.

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La stessa storia del Monopoli ha risvolti inquietanti** legati proprio all’ingiustizia e alla ricchezza a tutti i costi e sono emersi casualmente come spiegato con un articolo sul New York Times solo nel 2015.

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La dinamiche distributive, dopo essere state espresse con i giochi da tavolo, hanno trovato ampio spazio con simulazioni computerizzate. È quanto hanno fatto nel 1992 Joshua Epstein e Robert Axtell con il loro modello per la simulazione sociale.

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Come nascono le strutture sociali e i comportamenti di gruppo dall’interazione degli individui? **

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Partendo da questa domanda realizzarono una simulazione chiamata Sugarscape.** I comportamenti collettivi fondamentali come la formazione di gruppo, la trasmissione culturale, il combattimento e il commercio “emergono” dall’interazione dei singoli agenti seguendo poche semplici regole.

Anche in questo caso emerse che le dinamiche di un sistema sono complesse e non si possono ricondurre alla tesi che le disuguaglianze sul reddito riflettono il talento e/o il merito nella società.

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Il fenomeno secondo cui “chi ha, avrà sempre di più” è già noto da Duemila anni con il versetto del Vangelo di Matteo che recita:

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“A chiunque ha, sarà dato
e sarà nell’abbondanza.
Ma a chi non ha, sarà tolto
anche quello che ha”

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Le parole dell’apostolo riconducevano ai doni spirituali della fede di cui bisogna aver cura.

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Il mondo dell’economia, finanza e sociologia si richiama al concetto del Vangelo con il cosiddetto effetto Matteo** per spiegare il crescente divario e le dinamiche legati alla ricchezza e/o povertà che tendono ad accumularsi o amplificarsi.

La forbice della disuguaglianza** a livello globale è sempre più ampia. Occorre dunque entrare nello spazio equo e sostenibile della Ciambella.

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Tra poco spiegheremo le dinamiche dei cambiamenti climatici “usando” l’acqua nella vasca da bagno.

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L’economia mainstream considera “effetti collaterali” – positivi o negativi che siano – gli impatti derivanti dall’attività produttiva.

Questi sono considerati una preoccupazione marginale tanto che li definisce “esternalità”.

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Tuttavia dal momento che l’economia è incorporata nella biosfera non si possono ignorare gli effetti che provoca perché si amplificano – sotto forma di feedback – fino a bloccare il sistema economico stesso che li ha generati.

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Le cosiddette esternalità ambientali, come l’accumulo di gas serra nell’atmosfera, hanno innescato i cambiamenti climatici con conseguenze catastrofiche  che – a differenza di una crisi  bancaria – non danno la possibilità di porvi rimedio all’ultimo momento.

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Infatti, nel caso dei cambiamenti climatici, fermare le emissioni di CO2 non equivale a eliminarne l’accumulo: ipotizzando per assurdo di poter fermare all’istante le emissioni, la concentrazione di anidride carbonica nell’atmosfera continuerà a generare gli effetti negativi sugli ecosistemi del pianeta.

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Per far comprendere ai suoi studenti l’alterazione dei cicli di feedback, in particolare la relazione tra emissioni di CO2 e concentrazione di CO2, John  Sterman – docente del MIT e scienziato dei sistemi – usò la metafora della vasca da bagno.

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La vasca da bagno rappresenta l’atmosfera, l’acqua del rubinetto le emissioni di CO2 e lo scarico della vasca sono le foreste e gli oceani.

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Ora vediamo cosa succede con la dinamica dei sistemi.

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L’acqua che esce dal rubinetto tenderà a riempire la vasca ma se ne andrà giù dallo scarico.

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Questo avverrà se il getto scorrerà lentamente. Ma se l’acqua dal rubinetto sarà abbondante, in poco tempo la vasca sarà colma perché dallo scarico non andrà via abbastanza acqua.

Allo stesso modo, le emissioni di CO2 prodotte dalle attività umane sono maggiori di quelle che i sistemi naturali (piante e oceani) riescono ad assorbire.

The carbon bathtub, immagine semplificata (con il permesso di pubblicazione di Climate Interactive)

Sterman disegnò la vasca per la prima volta nel 2009 (vedi qui):  allora i flussi annuali di carbonio in entrata in atmosfera erano di 9 miliardi di tonnellate mentre quelli in uscita, grazie all’assorbimento di foreste e gli oceani, erano di 5 miliardi. Questo significa che solo per compensare le emissioni di gas serra queste devono essere dimezzate.

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Secondo il prof. Sterman, più che maggior informazione, occorre un apprendimento esperienziale per comprendere le dinamiche dei sistemi complessi.** Partendo da queste considerazioni per stimolare lo sviluppo di un pensiero sistemico, John Sterman e i suoi colleghi hanno messo a punto il “C-Roads** (Climate Rapid Overview and Decision Support), un dispositivo computerizzato per aiutare i governi a visualizzare gli impatti delle loro politiche. C-Roads elabora istantaneamente le implicazioni a lungo termine derivanti dagli impegni nazionali presi per la riduzione delle emissioni di gas serra.

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Sperimentare direttamente gli effetti delle dinamiche dei flussi e degli assorbimenti ha un duplice obiettivo: consente di comprendere sia l’urgenza di intervenire, sia l’ampiezza della trasformazione energetica necessaria per rispettare il limite dei confini planetari della ciambella.

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Seguici con la terza e ultima parte della danza dinamica.

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Legenda relativa ai link:

* fonte citata nel libro “Economia della Ciambella”

** approfondimento suggerito da Culturaintour

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⭕ Pronti alla danza dinamica? 3a lezione

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Lʼeconomia della ciambella di Kate Raworth – puntata 14, terza parte

Sette mosse per pensare come un economista del XXI secolo 

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4a mossa, Comprendere i sistemi

Passare dall’Equilibrio meccanico

alla Complessità dinamica

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Pronti alla danza dinamica? 3a lezione

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Nella 2a lezione della danza dinamica abbiamo visto che la faccenda è molto critica poiché ci troviamo in una spirale crescente sia di disuguaglianza sociale che di degrado ecologico.

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Antiche civiltà –  come i Maya, gli abitanti dell’Isola di Pasqua gli indiani Anasazi, gli antichi Egizi, gli Angkor Wat in Cambogia, i Great Zimbabwe e così via – sono collassate e, secondo gli archeologi, alla base del fenomeno c’erano problemi ambientali.

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Non c’è ovviamente una sola ragione che spieghi il declino di una società, sostiene Jared Diamond ** il quale, per comprendere questo argomento molto complesso, ha condotto una lunga indagine sulla storia dei Normanni della Groenlandia, un popolo ricco e potente. Al termine della ricerca, Diamond ha individuato ben cinque fattori che ne hanno determinato l’estinzione.

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E le società di oggi? Cosa le rende vulnerabili?

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Diamond si spinge a dare due indizi.

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Il primo consiste nella divergenza tra gli interessi a breve termine della classe dirigente e quelli a lungo della società intera.

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L’altro è la difficoltà a prendere buone decisioni che però non sono in linea con i valori fortemente radicati e, da punto di forza, diventano punti di debolezza.

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Il pensiero sistemico può aiutarci a capire se, con il nostro modello sviluppo economico, la nostra società corre rischi?

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La risposta è affermativa e dobbiamo risalire al 1972 con una delle prime elaborazioni dell’economia globale che ha visto l’applicazione della dinamica dei sistemi.

Il Club di Roma **, un’associazione composta da scienziati, umanisti e imprenditori legati dalla comune preoccupazione per la situazione mondiale, commissionò al MIT – Massachusetts Institute of Technology – di condurre una ricerca per capire quali scenari si prospettavano con la progressiva crescita umana sul pianeta.

Lo studio si basava sulla simulazione al computer di vari scenari e individuava le conseguenze sull’ecosistema terrestre seguendo l’attuale modello di sviluppo proseguendo cioè con il business-as-usual **.

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Vennero prese in considerazione cinque variabili:

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. crescita demografica

. produzione alimentare

. industrializzazione

. inquinamento

. consumo di risorse non rinnovabili.

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Il rapporto venne pubblicato con il libro  “The Limits to Growth” * *. Donella Meadows, Dennis Meadows e altri ne furono gli autori.  Il rapporto portava alla conclusione che – in un mondo di dimensioni finite con risorse limitate associato a una continua crescita di variabili come inquinamento e popolazione – si sarebbe giunti al collasso nell’arco di cento anni.

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I risultati dello studio furono considerati un ingiustificato catastrofismo e le reazioni in tutto il mondo furono di grande indignazione. **

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Gli economisti mainstream derisero i criteri usati per le proiezioni affermando che tenevano poco conto del feedback equilibrante del meccanismo dei prezzi nei mercati. Se le risorse non rinnovabili dovessero scarseggiare, precisarono, i prezzi salirebbero determinandone un uso più efficiente, un maggior utilizzo di sostituti delle risorse scarse e nuove fonti di energia.

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Il ragionamento presentava una lacuna: a differenza di combustili, minerali e metalli che hanno un prezzo, il ruolo e gli effetti dell’inquinamento, non avendo un prezzo, non generavano alcun feedback diretto da parte del mercato.

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Dagli anni Settanta, periodo di pubblicazione del rapporto “I limiti dello sviluppo”, ad oggi abbiamo lasciato alle spalle parecchi decenni e gli scenari ipotizzati si sono rilevati profetici anzi, quello che era chiamato semplicemente “inquinamento” si è trasformato in cambiamenti climatici.

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Siamo all’inizio del XXI secolo e abbiamo già oltrepassato quattro confini planetari su nove.

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Miliardi di persone affrontano pesanti privazioni mentre l’1% possiede metà della ricchezza  finanziaria del mondo. 

Questo vuol dire che ci sono le condizioni per il collasso.

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Per correre ai ripari occorre:

passare dall’attuale economia che divide e danneggia l’ambiente

a un’economia progettata per distribuire e per rigenerare l’ambiente
ossia :

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..che distribuisce per principio perché fa circolare il valore di ciò che viene prodotto e non si limita a concentrarlo in un élite;

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.che è rigenerativa per principio perché vede le persone che partecipano attivamente alla rigenerazione dei cicli vitali della Terra in modo che l’umanità possa prosperare all’interno dei confini planetari.

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Per usare una metafora gli economisti devono dire “addio a pinze e benvenute alle cesoie”.

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Addio a un’economia “meccanica” che pensa di rimettere in equilibrio i mercati con controlli teorici e benvenuta a un’economia “biologica” in continua trasformazione perché soggetta ai cicli di feedback.

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Così come fanno i giardinieri che si prendono cura delle coltivazioni, dai semi alle piante, scegliendo il terreno giusto per farle crescere rigogliose fino alla maturazione * allo stesso modo gli economisti devono pensare – come dice Eric Beinhocker – alle politiche come a un portfolio adattabile di esperimenti che contribuiscono a modellare l’evoluzione dell’economia della società del tempo.

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Organizzare esperimenti su piccola scala con le politiche per provare una serie di interventi. Abbandonare quelli che non vanno bene e ampliare quelli che funzionano.*

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Politiche adattative sono cruciali di fronte alle odierne sfide ecologiche e sociali che sono inedite e in una società globalmente interconnessa.

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I sistemi complessi si evolvono attraverso innovazioni e deviazioni per questo bisogna dare spazio a nuove iniziative *: nuovi modelli di business, valute complementari e progettazione di open source, così da trovare un sistema che possa evolversi e adattarsi rapidamente.

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Nessuno sa cosa funzionerà e questi esperimenti sono uno strumento evolutivo che guida la trasformazione economica distributiva e rigenerativa di cui abbiamo bisogno.

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Il concetto dei “punti di influenza” invece ci giunge da Donella Meadows – autrice principale del rapporto “I limiti dello sviluppo”.

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I punti di influenza in un sistema complesso sono piccoli cambiamenti che conducono a un più grande cambiamento complessivo. Gli economisti mainstream si focalizzano su aspetti poco influenti per esempio sull’aggiustamento dei prezzi. Bisogna invece andare a intervenire bilanciando i cicli di feedback dell’economia o meglio ancora individuare lo scopo.

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Chiedersi sempre come si è arrivati ad una certa situazione, dove si vuol andare e chiedersi cosa funziona bene in un sistema: queste erano le indicazioni di Donella Meadows.

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Non siate interventisti che non pensano e distruggono le stesse capacità di mantenimento del sistema” – suggerì – “prima di migliorare le cose, fate attenzione al valore di quello che c’è già *

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Grande conoscitrice della danza dei sistemi socio-ecologici, sottolineava che i sistemi efficaci hanno tre proprietà che devono essere sapientemente gestiti:

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  • una giusta gerarchia,
  • auto-organizazione,
  • resilienza

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Giusta gerarchia

si manifesta quando i sotto-sistemi sono al servizio del tutto di cui sono parte.

Spieghiamo questo concetto con una metafora.

Le cellule epatiche sono al servizio del fegato, organo che è al servizio dell’organismo umano. Se queste cellule si moltiplicano rapidamente diventano un tumore e distruggono il corpo.

La giusta gerarchia in ambito economico significa per esempio, dare al settore finanziario il ruolo di essere al servizio dell’economia che a sua volta è a servizio della vita. *

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Auto-organizzazione

è la capacità di un sistema di rendere più complesse le sue strutture.

La metafora è una cellula che si divide oppure una città in espansione.

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Nell’economia gran parte dell’auto-organizzazione nel mercato avviene con il meccanismo dei prezzi (come sosteneva Adam Smith) ma questo fenomeno avviene anche con i beni comuni e i nuclei familiari (come sosteneva Elinor Ostrom. ** Questi tre settori possono auto-organizzarsi efficacemente e lo Stato dovrebbe sostenerli tutti e tre.

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Resilienza

è la capacità di un sistema di sopportare gli stress e di ritornare al suo stato iniziale o di adattarsi alla nuova condizione come accade, per esempio, alla tela di un ragno dopo una tempesta.

L’economia dell’equilibrio ha come obiettivo di massimizzare l’efficienza senza accorgersi che la poca flessibilità la resa vulnerabile.

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Meglio sviluppare la diversità nelle strutture economiche ne amplifica la resilienza rendendo l’economia più capace di adattarsi a shock e pressioni.

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Esiste un’etica nell’economia?

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George DeMartino è un economista che ricerca i fondamenti etici della teoria economica, della politica e della pratica economica professionale. **

Nel 2012 durante una sua conferenza DeMartino sostenne che “quando una professione cerca di avere influenza sugli altri, si assume necessariamente degli obblighi morali, che li riconosca o no”.

La principale regola decisionale negli interventi politico-economici è quella del “Maxi-max”: si considerano tutte le possibili opzioni politiche e si sceglie quella che sembrerebbe la migliore se funzionasse trascurando se realmente può funzionare e questa modalità si traduce con il danno provocato dalle politiche shock a base di privatizzazioni e liberalizzazioni del mercato.

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George DeMartino con il suo libro “The Economist’s Oath* – il giuramento degli economisti – si ispira espressamente al giuramento di Ippocrate ** per la medicina che guida i futuri medici con precisi principi etici. Così come la medicina ha perfezionato la propria etica professionale e ne ha sancito i principi così si può fare per l’economia.

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Ecco  quattro principi etici da tenere presente in una sorta di Giuramento dell’economista del XXI secolo: per guidare la formazione di ogni studente di economia e di ogni politico:

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1.operare al servizio della prosperità umana in un fiorente intreccio di vita riconoscendo tutto ciò che dipende da questo intreccio;

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2.rispettare l’autonomia delle comunità di cui si è al servizio assicurandosi di avere il loro coinvolgimento e consenso e considerando le diseguaglianze e differenze che possono presentare;

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3.essere prudenti nella pianificazione delle politiche minimizzando i rischi di danni specie in circostanze di incertezza;

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.4

4.lavorare con umiltà rendendo trasparenti le assunzioni  e i limiti dei propri modelli e riconoscendo punti di vista alternativi.

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Nella parole di Donella Meadows: “Il futuro non può essere predetto ma può essere visualizzato e portato amorevolmente alla realizzazione. I sistemi non possono essere controllati ma possono essere progettati e riprogettati. Possiamo ascoltare quello che i sistemi ci dicono e scoprire come le loro proprietà e i nostri valori possano collaborare“. *

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Le attuali dinamiche dell’economia globale conducono al rischio reale di arrivare al collasso, dunque che gli economisti del XXI abbraccino la complessità e trasformino le economie locali e globali per renderle distributive e rigenerative.

È un progetto entusiasmante e – aggiunge ironicamente Kate Raworth – probabilmente anche Newton vorrebbe partecipare al lavoro.

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Seguici con la prossima falsa teoria dell’economia del XX secolo: la crescita livellerà.

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Legenda relativa ai link:

* fonte citata nel libro “Economia della Ciambella”

** approfondimento suggerito da Culturaintour

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⭕ Diventare generosi per principio

, in

Lʼeconomia della ciambella di Kate Raworth – puntata 18, prima parte

Sette mosse per pensare come un economista del XXI secolo 

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6a mossa, Creare per rigenerare

Passare da “la crescita ripulirà”

a rigenerativi per progetto

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Diventare generosi per principio

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Cosa fa una azienda di fronte alla presa di coscienza che la progettazione lineare degenerativa esercita una pressione molto pericolosa sui limiti fisici della Terra?

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Abbiamo un ventaglio di reazioni che, Kate, sintetizza in “Le Cose che le Aziende Intendono Fare”.

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Fino a pochi anni fa la più gettonata era la più facile: non fare niente.

Un’azienda deve fare profitti è la risposta, il modo di produrre è legale e il “business as usual” – come viene chiamato – andrà avanti fino a quando non verranno introdotte tasse ambientali o gli incentivi per cambiare. 

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La sostenibilità per decenni è stata presa molto poco in considerazione ma ora la situazione sta cambiando velocemente.

I segnali che bisogna far qualcosa arrivano dai produttori  come coltivatori di cotone, caffè, vino e tessitori di seta che dipendono da catene di forniture globali. L’innalzamento delle temperature mette a rischio le coltivazioni e stare a guardare questi cambiamenti non è più una strategia così intelligente.

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Si è passati quindi ad un’altra reazione. Fare ciò che ripaga grazie a misure per l’efficienza ecologica che tagliano i costi o rafforzano l’azienda: misure che portano ad esempio a tagliare emissioni di gas serra o ridurre l’uso dell’acqua costituiscono, nel processo, un aumento dei profitti. Queste compagnie ostentano i loro progressi rispetto ai concorrenti e magari vendono a un prezzo superiore i loro prodotti ma i loro progressi sono lontani da quel che c’è realmente bisogno di fare.

È molto probabile trovare in questa categoria le aziende che preferiscono guadagnare in reputazione con il greenwashing o addirittura frodando. Come il caso della Volkswagen nel 2015.**

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Arriviamo alla terza reazione: fare la propria parte nell’avvio alla sostenibilità.

Quando nazioni e aziende riconoscono l’entità degli interventi per tagliare le emissioni, ridurre l’uso dei fertilizzanti o consumo d’acqua passano alla fase successiva che è chiedersi quale deve essere l’entità di impegno nel ridurre quantità di anidride carbonica, consumo di acqua o di fertilizzanti.

Qui il rischio maggiore è che “fare la propria parte” si trasformi in “prendersi la propria parte” di diritto ad inquinare dal momento che in questo modo si ragiona ancora con la mentalità della progettazione lineare degenerativa. “il diritto ad inquinare” diventa la risorsa da accaparrare  e si innescano i meccanismi per far pressioni sui politici o per trovare scappatoie nel sistema.

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Arriviamo alla quarta reazione che scaturisce da un necessario cambio di mentalità: non fare danni ossia “missione zero”

Questo vuol dire produrre a impatto nullo e potrebbe essere un’utopia ma ci sono già aziende che funzionano a “energia zero” grazie ai pannelli solari. Oppure un sistema ingegnoso per “zero acqua”: un caseificio recupera il vapore rilasciato dal latte vaccino anziché prelevare acqua dalle falde.

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Perché puntare solo a “fare meglio”? – dice McDonough, architetto e designer **– si può ambire ad una progettazione industriale che non si limita solo a non prendere ma addirittura a dare.

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Abbiamo così introdotto la quinta auspicabile reazione: essere generosa rendendo l’impresa rigenerativa per progetto. 

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Non siamo più nell’ambito de “Le cose da fare”.

Questo è un modo di stare al mondo: sentire la responsabilità di lasciare il mondo vivente in condizioni migliori di come l’abbiamo trovato.*

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Janine Benyus, esperta di biomimesi, suggerisce di utilizzare la natura come modello e prendere ispirazione dai cicli della vita.* Prendiamo il carbonio e impariamo a interrompere le nostre “esalazioni industriali di CO2 “ e, come fanno le piante, studiamo come “inalare” carbonio. Poi troveremo anche anche soluzioni per i cicli di fosforo, azoto e acqua.

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Non c’è più tempo ma è tempo di una progettazione fondata sulla generosità.

È giunto il momento che il bruco diventi farfalla.

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L’economia circolare prende il volo

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Possiamo dire addio al bruco con la sua economia lineare. L’economia circolare è rigenerativa per progetto perché sfrutta il flusso infinito dell’energia del sole e trasforma materiali in prodotti e servizi utili.*

Trasformiamo quindi l’economia seguendo il diagramma creato dalla Ellen MacArthur Foundation* che evoca proprio le ali di una farfalla.

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La vecchia mentalità “dalla culla alla tomba” che ha caratterizzato il XX secolo procedeva con l’estrazione di minerali e combustili fossili che diventavano rifiuti da bruciare. Il bruco-industriale prendeva e buttava.

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Vediamo ora come si trasforma in farfalla.

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La mentalità “dalla culla alla culla”* caratterizza l’economia circolare  e funziona con energia rinnovabile – sole, vento. acqua e fonti geotermiche. 

È detta “dalla culla alla culla” perché i rifiuti o meglio gli scarti non finiscono in discarica ma vengono considerati risorsa. Gli scarti di un processo produttivo – siano biologici che tecnici diventano “materie prime seconde”** di un altro processo.

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I materiali rinnovabili sono di due tipi:  

biologici appartengono al ciclo di nutrienti derivanti da suolo, vegetali, animali.

tecnici se si tratta di plastica, materiali di sintesi, metalli, vetro, carta, etc.

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I materiali biologici devono circolare solo “nell’ala biologica” seguendo alcuni principi: i materiali prelevati devono rispettare i ritmi che la natura richiede per rigenerarli; sfruttare le molteplici fonti di valore nei cicli naturali; progettare i sistemi produttivi in modo che nulla vada perso.

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Per esempio per ottenere una tazza di caffè si utilizza solo l’1% di un chicco. Invece di buttare i residui e poi i fondi del caffè nel compost, si possono utilizzare per la produzione di altri prodotti dal momento che sono ricchi di cellulosa, lignina e zuccheri in numerosi altri impieghi e terminare con il compost che ha un ulteriore ruolo rigenerativo.

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Nell’altra “ala della farfalla” circolano invece solo i prodotti ottenuti con nutrienti tecnici e seguono i loro propri principi: devono essere progettati per essere ripristinati attraverso riparazione oppure riuso oppure rifacimento e, come ultima opzione, riciclo.

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Per esempio i telefoni cellulari, che mediamente solo utilizzati solo due anni, hanno al loro interno un tesoro di metalli preziosi come oro, argento, cobalto, rame e di elementi chimici (terre rare. Secondo uno studio, in Europa nel 2010 solo 6% è stato rigenerato, il 9% disassemblato per il riciclo e  85% è finito in discarica. In un contesto di economia circolare sarebbero progettati per essere smontati, aggiornati e ricondizionati e come ultima opzione, recuperati tutti i metalli dei componenti.

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Prendendo come modello la natura nasce così la simbiosi industriale.**

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Tuttavia è bene essere realistici: non potrà mai esserci un ciclo industriale in grado di recuperare  il 100% delle materiali. 

Il punto è che in un’economia degenerativa il valore è monetario e, in funzione di questo, per ogni cosa che viene prodotta si deve puntare a ridurre i costi e aumentare continuamente le vendite.

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Il risultato che si è avuto è un incessante flusso di materiali.

In un’economia rigenerativa invece il flusso dei materiali diventa un flusso circolare. Siamo immersi in un flusso costante di energia solare che dà la vita nella biosfera e dobbiamo sfruttare questa energia per ripristinare quello che abbiamo creato e rigenerare il mondo vivente in cui prosperiamo.

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La vera trasformazione risiede nel dare un nuovo significato al concetto di valore. Come disse il poeta John Ruskin “Non c’è altra ricchezza al di fuori della vita”.

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Benvenuti nella città generosa

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Non solo le fabbriche anche i paesaggi urbani possono essere rigenerativi per progetto così da creare “città generose”* dice Janine Benyus, insediamenti umani che si inseriscono nel mondo vivente.

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Seguendo un approccio ti tipo rigenerativo invece di adattare la natura ai propri modelli, avviene il contrario. L’architettura si ingegna per preservare e valorizzare gli ecosistemi e i cicli biologici, mantenendo caratteristiche di durabilità, resistenza e fruibilità.

Si possono progettare tetti su cui cresce cibo, che catturano l’energia del sole e che ospitano animali selvatici. Asfalti delle strade capaci di assorbire l’acqua dei temporali per rilasciarla lentamente nella falda. Edifici in grado di catturare CO2 e in grado di trasformare le acque di scarico in nutrienti per il suolo.

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Certamente non esistono ancora queste città in compenso sono partiti molti progetti sperimentali.

In Olanda per esempio si trova Park 20/20, basato sui principi “dalla culla alla culla”**: è stato progettato da William McDonough e costruito con materiali riciclabili, dotato di un sistema energetico integrato e di un impianto per il trattamento dell’acqua, i tetti oltre ad accumulare energia solare, raccolgono l’acqua e sono un habitat per gli animali selvatici.

Nel mondo ci sono villaggi, paesi e città che stanno adottando i principi della progettazione rigenerativa.

Il Bangladesh punta ad uno sviluppo sostenibile e a essere alimentato a energia solare.* Vengono organizzati corsi per la formazione di donne imprenditrici a cui viene insegnato come fare l’installazione e la manutenzione dei pannelli solari.

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Nel mondo ci sono molti di questi progetti ma sono ancora in una fase sperimentale.

Nel XXI secolo servono economisti responsabili e capaci di renderli realizzabili. Ma non solo.
Con il prossimo articolo vedremo, tra gli altri, il ruolo fondamentale della finanza e dello Stato.

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Continua a seguirci e aiutaci a far conoscere l’economia della Ciambella. Condividi l’articolo!

Grazie.

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Legenda relativa ai link:

* fonte citata nel libro “Economia della Ciambella”

** approfondimento suggerito da Culturaintour

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⭕ Rigeneriamoci: ecco cosa serve

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Lʼeconomia della ciambella di Kate Raworth – puntata 18, seconda parte

Sette mosse per pensare come un economista del XXI secolo 

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6a mossa, Creare per rigenerare

Passare da “la crescita ripulirà”

a rigenerativi per progetto

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Rigeneriamoci: ecco cosa serve

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In cerca dell’economista generoso

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Ma perché dovremmo dare aria pulita in città?

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È la reazione di una importante impresa di costruzioni a cui ha assistito Janine Benyus, studiosa di  biomimesi durante la progettazione per il rinnovamento dei sobborghi di una grande città. La proposta di Benyus era quella di realizzare gli edifici i cui muri biomimetici avrebbero sequestrato CO2 e rilasciato ossigeno e filtrato l’aria circostante.

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È la mentalità di un modello capitalistico che ha come unica forma di valore quello finanziario e deve render conto solo agli azionisti.

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I progettisti rigenerativi invece si chiedono quali benefici potrebbero aggiungere ai loro interventi e a volte può essere anche molto redditizio.

Il riutilizzo e l’efficiente utilizzo delle risorse è nell’essenza dell’economia circolare e dunque un vantaggio economico. 

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Perché si affermi la progettazione industriale rigenerativa è necessario che sia sostenuta innanzitutto da una progettazione economica rigenerativa e il processo di riprogettazione necessita di esperimenti innovativi.

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Il futuro circolare è aperto

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L’economia circolare per sua natura deve essere sviluppata creando conoscenza condivisa per liberare il potenziale della manifattura circolare. Per questo scopo è stato avviato l’Open Source Circular Economy (OSCE). È un network di innovatori, progettisti e attivisti che condivide saperi.

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I principi per una economia circolare veramente rigenerativa presuppongono trasparenza e sono:

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. creare prodotti facili da smontare, assemblare;

. progettare componenti di forma e dimensioni comuni;

. piena accessibilità alle informazioni sulla composizione dei materiali e sui modi per usarli;

. documentare la dislocazione e disponibilità dei materiali.

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Sam Muirhead, attivista per lo sviluppo di idee collaborative**, trasparenti ed etiche del movimento Free / Libre Open Source – con particolare attenzione alle arti – é l’ ispiratore dell’OSCE e afferma:  “Ogni giorno i beni comuni della conoscenza crescono e diventano più utili. Una volta che le persone si impadroniscono dell’idea provano a creare nuove applicazioni. E questo vale anche per il potenziale dell’economia circolare” .

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Anche Janine Benyus, esperta di biomimesi, crede fortemente nei beni comuni della conoscenza. Ha aperto il sito asknature.org* e aiuta gli innovatori a imparare ed emulare modelli naturali al fine di promuovere la progettazione di sistemi umani, prodotti, processi e politiche sostenibili.

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Ridefinire il business del business

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“La responsabilità sociale del business è di incrementare i profitti”* questo era l’affermazione di Milton Friedman in un’intervista nel 1970*.

Anche se può sembra un’utopia non la pensava così Anita Roddick, grande imprenditrice visionaria, che nel 1976 anticipò un business socialmente e ecologicamente rigenerativo.*

Aprì inizialmente un negozio, Body Shop, in Inghilterra. Ciò che caratterizzava la produzione di cosmetici naturali di Anita Roddick era il fatto che erano a base vegetale, non testati su animali e la confezione (flacone e scatole) erano riutilizzata. Fu tra le prime aziende che pagavano un prezzo equo alle comunità in tutto il mondo per la fornitura di cacao, olio di noce brasiliana e erbe essiccate.  Fu tra le prime aziende a investire nell’energia eolica.

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Gli affari andavano decisamente bene e così parte dei profitti erano destinati alla “The Body Shop Foundation” l’organizzazione impegnata per cause sociali e ambientali.

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Perché faceva tutto questo Anita Roddick?

Lo spiegava così: “Voglio lavorare per un’azienda che doni alla comunità e che  ne sia parte.”

Quello che oggi si chiama “scopo vitale” di un’azienda.

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Anita Roddick ha dimostrato che un’azienda può essere molto di più del puro business anzi potremmo dire che il business del business sia contribuire a creare un mondo di prosperità.

Oggi le imprese più innovative si ispirano a questa visione, sono imprese che hanno uno scopo sociale o esercitano attività a beneficio della comunità, come le società benefit, rigenerative per principio.**

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La finanza al servizio della vita

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Un business con uno “scopo vitale” deve necessariamente avere una fonte finanziaria allineata con la mission e che si mettano in conto risultati a lungo termine per creare valori – umani, sociali, culturali e fisici – insieme a un equo ritorno finanziario.

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È quel che imparò anche Anita Roddick quando quotò in borsa la sua impresa: i dissapori con i suoi azionisti furono evidenti.

Come può essere finanziata un’impresa rigenerativa per realizzare il suo scopo vitale deve essere finanziata per adempiere?

È di questo che si occupa John Fullerton, un economista non convenzionale. Dopo una carriera di successo a Wall Street, dove era un amministratore delegato JPMorgan si dimise nel 2001 giungendo alla consapevolezza che il sistema economico è la causa della crisi ecologica ed è la finanza che guida il sistema economico. Fullerton è convinto che non basta limitare la finanza speculativa, occorre promuovere anche una finanza basata su investimenti a lungo termine.

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Per questo si è impegnato per progettare una “finanza rigenerativa” con l’obiettivo di utilizzare risparmi e crediti in investimenti produttivi che generano valori sociali ed ecologici nel lungo termine.

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Esistono esempi concreti di “banche rigenerative”* che hanno la missione di usare il denaro per generare cambiamenti positivi in ambito sociale, ambientale e culturale: la banca olandese Triodos oppure la Florida First Green Bank.

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Bisogna pensare a una finanza al servizio della vita: non solo riprogettazione degli investimenti ma anche riprogettazione della moneta. Come abbiamo visto qui.

Bernard Lietaer, espero di monete complementari, ha modificato radicalmente Rabot, il quartiere più fatiscente di Gand, in Belgio.* La sfida era di passare dal degrado a un quartiere piacevole in cui vivere con molto verde.

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La primo passo di Lietaer è stato di chiedere ai residenti cosa desiderassero. Alla risposta di avere piccoli orti sociali, un sito industriale abbandonato è stato frazionato e piccoli lotti sono stati dati ai cittadini dietro pagamento di un piccolo canone di affitto. La particolarità dell’operazione è che l’affitto era con una nuova moneta in “Torekes”, (“piccole torri” a evocare i palazzoni del quartiere).

Come potevano avere i Torekes i cittadini?

Facendo volontariato nella raccolta dei rifiuti, provvedendo alla messa a dimora di nuove piante, riparando gli edifici pubblici o condividendo l’auto per il trasporto collettivo. I Torrekas potevano essere usati per biglietti al cinema o comprare prodotti alimentari o lampadine a basso consumo.

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L’aspetto più interessante è che ha avuto l’effetto di integrazione sociale.

Questo è uno dei modi in cui si possono usare le monete complementari.

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Far nascere lo Stato partner

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Il ruolo dello Stato è fondamentale per consentire di abbandonare la progettazione degenerativa del  business-as-usual e passare a quella rigenerativa utilizzando mezzi come: tasse e norme, assumendo il ruolo di investitore trasformato e potenziando i beni comuni. 

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È consuetudine per i governi tassare “quello che può” anziché tassare “quello che deve” e questo fa la differenza. Come anticipato nel capitolo della progettazione distributiva, si ha un risultato diverso se si tassano le aziende quando assumono personale mentre si hanno agevolazioni fiscali per gli investimenti sull’acquisto di robot.

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Nel XXI secolo occorre il passaggio dalla tassazione del lavoro al tassare le fonti non rinnovabili potenziando i sussidi per le energie rinnovabili e per gli investimenti in efficienza. Ristrutturare gli edifici anziché demolirli consentirebbe un risparmio di acqua e materie prime.

Secondo lo studio “Economia circolare e benefici per la società”* commissionato dal Club of Rome, emerge che una progettazione rigenerativa significa creare nuovi posti di lavoro, vantaggi per il clima con le energie rinnovabili e efficienza delle risorse.

Tuttavia non ci si può affidare solamente alla progettazione industriale. Occorre una rivoluzione dell’energia pulita.

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“Non possiamo affidarci al settore privato per rimodellare in modo radicale l’economia – afferma Mariana Mazzucato – solo lo Stato può predisporre il tipo di finanza paziente per operare un cambiamento necessario”*

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Il governo cinese condivide la visione della ricercatrice Mariana Mazzucato, visto che il governo ha investito miliardi di dollari in un portfolio di aziende in energia rinnovabile.

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Esempi di Stato come partner che si assumono il ruolo trasformativo nella creazione di un’economia rigenerativa non sono molti. Esistono però molti esempi a livello di città. Una di queste è Oberlin in Ohio che si è prefissata l’obiettivo di essere tra le prime città americane a “impatto climatico positivo” sequestrando più CO2 di quella emessa. Il progetto si concretizza attraverso l’efficientamento dell’illuminazione municipale, energia rinnovabile, coltivando localmente il 70 percento del cibo, con la creazione di aree verdi urbane. La sostenibilità si estende su tutti i fronti anche attraverso l’educazione ambientale e la creazione di posti di lavoro. “Dobbiamo ricalibrare la prosperità basandoci sul funzionamento degli ecosistemi e su quello che posso effettivamente rigenerare” spiega David Orr, direttore del Progetto Oberlin ideato grazie a un pensiero sistemico. **

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L’era delle unità di misura viventi

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L’economia lineare che, ricordiamo , è figlia di una progettazione degenerativa che ha come unità di misura quella monetaria e il suo unico scopo è la crescita del Pil.

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La progettazione rigenerativa invece ha nuove unità di misura che riflettono la sua missione che è di promuovere la prosperità umana nel rispetto degli ecosistemi. Le nuove unità “viventi” tengono conto delle molti fonti di ricchezza – umane, sociali, ecologiche, culturali, fisiche – da cui scaturisce il valore di cui gli introiti finanziari sono solo una piccola frazione.

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Esempi concreti di “unità di misura della vita” si stanno sviluppando rapidamente.

Il progetto che abbiamo visto poco fa in questo articolo quello di Oberlin negli Stati Uniti – mira a migliorare la resilienza, la prosperità e la sostenibilità della comunità. Per  misurare e monitorare l’avanzamento del progetto si serve di un sito web, “Environmental Dashboard”, che mostra in tempo reale il consumo di acqua, elettricità, le emissioni di carbonio etc.

Le misurazioni non riguardano solo le comunità ma anche le imprese attraverso specifici bilanci di sostenibilità. 

L’obiettivo non è limitarsi a “non fare danni” ma a mettersi nell’ottica di arrivare a dare un contributo rigenerativo.*

I governi potrebbero sostenere e premiare le aziende rigenerative con riduzioni delle tasse e incentivi agli acquisti verdi.
Visto che la crescita illimitata ha causato enormi danni e non ha certo contribuito a “ripulire” l’ambiente, semmai ha aumentato l’impronta ecologica nel consumo di materiali e aumentando la pressione dei cambiamenti climatici, come dobbiamo porci nel XXI secolo di fronte al famigerato indicatore, chiamato Pil?

Per spostarci nello spazio sicuro e equo della Ciambella, dobbiamo essere agnostici rispetto alla crescita?

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Lo vedremo nel prossimi articoli. Continua a seguirci, stiamo per scoprire la 7a mossa per pensare come ad un economista del XXI secolo.

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Legenda relativa ai link:

* fonte citata nel libro “Economia della Ciambella”

** approfondimento suggerito da Culturaintour

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⭕ In crescita, verso l’infinito e oltre

, in

Lʼeconomia della ciambella di Kate Raworth – puntata 19

Sette mosse per pensare come un economista del XXI secolo 

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7a mossa, Essere agnostici sulla crescita

Passare da “dipendenti”

a “agnostici riguardo alla crescita”

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In salita, verso l’infinito e oltre

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L’obiettivo per il XXI secolo è entrare nella Ciambella cioè nello spazio sicuro e equo mettendo fine a disuguaglianza e degrado ambientale. Due piaghe che le economie in crescita non hanno saputo guarire.

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Nella puntata 7 abbiamo parlato del Pil mettendo in discussione il fatto che sia l’indicatore migliore per indicare il successo di un’economia. La questione però non è solo andare oltre il suo utilizzo perché resta l’ostacolo di dover superare l’assuefazione finanziaria, politica e sociale sulla crescita del Pil.

Kate Raworth spiega che bisogna creare economie che siano agnostiche riguardo alla crescita ossia avere una mentalità che porti a progettare un’economia per far prosperare l’umanità a prescindere dal Pil.

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Il XX secolo ci ha lasciato in eredità un’economia che necessita di crescere senza chiedersi se stesse creando prosperità o meno ed è per questo che ora abbiamo conseguenze sociali e ambientali molto gravi.

La svolta per il XXI secolo è di creare economie che facciano prosperare che crescano o no.

Diventare agnostici sulla crescita richiede perciò di trasformare quelle strutture finanziarie, politiche e sociali che hanno portato le nostre economie a puntare su una crescita continua, fino a dipenderne.

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Troppo pericoloso per disegnarlo

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Kate propone un gioco divertente e molto suggestivo.

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Se si dovesse chiedere a un economista di tracciare su un foglio l’andamento del Pil a lungo termine è molto probabile che si metta tracciare la celebre linea, nota come curva esponenziale, che sale all’infinito. Gli economisti mainstream puntano sul fatto che il Pil debba crescere periodicamente di una percentuale fissa, che sia del 2% o del 9%, purché in salita rispetto alla sua entità precedente.

Avremo quindi tra le mani un disegno con questa linea in salita, sospesa a mezz’aria.

Ma poi? 

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Possiamo ipotizzare che sale all’infinito oppure che a un certo punto inizi ad appiattirsi e stabilizzarsi.

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La prima opzione è piuttosto imbarazzante perché la linea inizierà a crescere molto rapidamente perché siamo nell’ambito di funzioni esponenziali.

Per fare un esempio, se prendiamo un tasso di crescita del 10% di un qualcosa, alla fine del settimo anno sarà semplicemente raddoppiato.
Se vogliamo stare su un tasso ipotetico del 3% questo avverrebbe nel giro di 23 anni.

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Alle implicazioni che ciò porta, potrà sembra incredibile, ma non se ne parla. I libri di testo danno come obiettivo delle politiche economiche la crescita del Pil e non danno mai previsioni su un ciclo nel lungo termine perché costringerebbe gli economisti a confrontarsi sulle assunzioni più profonde riguardo alla crescita.

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Un’analisi tuttavia è stata fatta e risale al 1960 quando W.W. Rostow, economista americano, pubblicò “The Stages of Economic Growth” –  Le fasi di crescita economica.**

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Secondo la teoria di Rostow lo sviluppo economico di un paese è un processo sequenziale a fasi (o stadi) di sviluppo.

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1.La società tradizionale  

2.I presupposti per il decollo

3.Il decollo 

4.La spinta al pieno sviluppo

5.L’era dei grandi consumi di massa

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Tutto inizia con la società tradizionale che basa le attività sul settore primario, agricoltura e artigianato. Vi è assenza di tecnologie.

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Con lo stadio 2 si diffonde l’idea – scrisse Rostow – che non solo il progresso sia possibile ma che il progresso economico sia una condizione necessaria per raggiungere alcuni altri scopi ritenuti positivi come dignità nazionale, profitto privato, benessere generale. L’avvio alla costruzione di infrastrutture per trasporti e comunicazioni, investimenti da parte di imprenditori e la creazione di tutte le condizioni per aprire ai bisogni dell’economia moderna.

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Arriviamo allo stadio 3, il decollo con la sua “crescita come condizione normale”: l’industria e l’agricoltura commerciale dominano l’economia.

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Spiegò Rostow: “Sia la struttura basilare dell’economia sia la struttura sociale e politica della società vengono trasformate perché sia possibile mantenere un tasso di crescita regolare”.

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La spinta al pieno sviluppo consente il fiorire di industrie moderne a prescindere dalle risorse di una nazione. Entriamo così nella fase 5, con l’era dei grandi consumi di massa.

Il modello Rostow lascia un po’ di suspense in riferimento alla questione che viene dopo e su cosa fare quando lo stesso aumento del reddito reale perde il suo fascino.

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Rostow ritenne saggio di non approfondire perché all’epoca stava per diventare consigliere di John F. Kennedy. E indovina cosa aveva promesso in campagna elettorale?

Una crescita economica del 5% e, comprensibilmente, Rostow avrebbe dovuto impegnarsi e mantenere il focus sul come far salire il Pil.

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Kate Raworth suggerisce una metafora molto efficace riguardo al volo dell’aereo-economia: l’aereo di Rostow decolla, si alza in volo con un tasso di salita costante e non si chiede più se e dove atterrerà mai.

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La star del palco con un ruolo inadeguato

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Passiamo alla seconda opzione del gioco con l’economista .

La nostra linea ad un certo punto tende ad appiattirsi e stabilizzarsi su un dato livello.

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Prima ancora che fosse inventato il Pil, i fondatori della teoria economica classica avevano elaborato il concetto che, come tutte le cose,  la fine della crescita economica fosse inevitabile: da Adam Smith a David Ricardo o John Mill, seppure attraverso analisi diverse, tutti intravedevano una fase stazionaria.

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In particolare J. Keynes si spinse a dichiarare che “non è lontano il giorno in cui il problema dell’economia avrà il ruolo di secondo piano che gli compete e le arene della mente e del cuore saranno occupate o rioccupate dai nostri veri problemi – i problemi della vita e delle relazioni umane, della creazione e del comportamento e della religione”.*

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Gli stessi padri dell’economia classica, quindi, se, matita in mano, potessero proseguire la linea curva esponenziale, partirebbero dall’estremità proiettata verso il cielo e la linea comincerebbe a prendere un andamento graduale verso appiattimento.

Come risultato si avrebbe una raffigurazione a S, la cosiddetta  “curva logistica”.

La storia della curva a S inizia nel 1838, quando Pierre F. Verhulst, matematico e statistico, ideò la curva di crescita logistica (o funzione logistica)**, come modello di crescita della popolazione mettendo in relazione l’aumento o diminuzione demografica in rapporto alla disponibilità delle risorse.

La curva a S si estese a molti ambiti scientifici come ecologia, biologia in cui la sua applicazione era funzionale a molti processi naturali. 

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Non fu così per gli economisti per più di un secolo.

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Le cose cambiarono improvvisamente nel 1971 con la pubblicazione de La Legge dell’Entropia e il processo economico * di Nicholas Georgescu Roegen**, uno degli economisti ambientali più geniali. Con il suo lavoro, spiegava della necessità di un appiattimento della crescita dell’economia globale di fronte alla capacità della Terra di sopportare le pressioni sui suoi ecosistemi.

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Georgesch sintentizzava i suoi studi con una frase: “Coloro che credono fermamente che la crescita esponenziale possa durare in eterno in un mondo finito, o è un pazzo o è un economista”.

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Se l’umanità imparerà a muoversi nell’Antropocene senza spingere il nostro pianeta verso una condizione molto più calda, secca e ostile – ci rassicura Kate – anche le economie che creiamo potrebbero continuare a prosperare – non a crescere, ma a prosperare – per millenni, se le gestiremo con saggezza.

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La domanda che possiamo farci ora è:

A che punto siamo sulla curva della crescita?

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Il Pil mondiale dall’inizio del boom economico degli anni Cinquanta è cresciuto oltre di oltre 5 volte e le previsioni dicono che per il futuro continuerà al tasso del 3-4% circa all’anno.

Bisogna comunque tener conto che la crescita globale è costituita da tassi di crescita molto differenti tra le economie.

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È prevedibile che i paesi a basso reddito abbiano tassi di crescita economica molto elevati essendo nella “fase del decollo” come Rostow insegna.

Questi paesi sono in un punto della linea a S** che si appresta a salire. È fondamentale che questi paesi siano supportati a livello internazionale affinché partano con tecnologie avanzate e non inquinanti e con il modello lineare ossia degenerativo che conosciamo bene. Devono essere in grado di convogliare la crescita nella creazione di economie distributive e rigenerative per principio e cominciare a portare i loro abitanti nello spazio equo e sostenibile.

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Discorso diverso per i paesi industrializzati in cui l’aumento della popolazione è molto basso.** La crescita del Pil nei paesi ad alto reddito è molto rallentata e le disuguaglianze sono aumentate.

A livello globale l’impronta ecologica** dei paesi industrializzati mette in evidenza che, di anno in anno, si oltrepassa la capacità della Terra di garantire le risorse naturali – overshoot day** – poiché si produce e si consuma come se si avessero a disposizione quattro pianeti.

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È palese la contraddizione: da un lato i paesi industrializzati dichiarano di puntare a entrare nello spazio equo e sicuro della Ciambella e d’altro hanno ancora come obiettivo di far crescere il Pil e, per dirla con l’ironia di Kate Raworth, ci possiamo trovare a “distruggere il nido per nutrire il cuculo”.

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Le economie avanzate sono forse arrivate all’apice della curva a S?

È possibile una crescita verde?

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La prossima volta vedremo come risponde Kate Raworth.

Continua a seguirci e se trovi interessante l’Economia della Ciambella, condividi questo articolo!

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Legenda relativa ai link:

* fonte citata nel libro “Economia della Ciambella”

** approfondimento suggerito da Culturaintour

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⭕ Volare, o atterrare: questo è il dilemma

, in

Lʼeconomia della ciambella di Kate Raworth – puntata 20, prima parte

Sette mosse per pensare come un economista del XXI secolo 

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7a mossa, Essere agnostici sulla crescita

Passare da “dipendenti”

a “agnostici riguardo alla crescita”

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Volare, o atterrare: questo è il dilemma

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Possiamo continuare a volare?

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La scorsa volta abbiamo parlato dell’aereo-economia di Rostow.
Kate prosegue con la metafora.

Sull’aereo tra i passeggeri si apre il dibattito, assai appassionato, sulla crescita del Pil: ci sono due convinzioni contrapposte.

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Da un lato abbiamo la fila di coloro schierati a favore del “bisogna continuare a volare” e dicono ben chiaro che la crescita economica è ancora necessaria e quindi deve essere possibile.

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Dall’altra la fila dei seguaci del “bisogna prepararsi all’atterraggio” e sono fermi nel sostenere che la crescita economia non è più possibile e quindi non può essere necessaria.

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Vediamo di approfondire le argomentazioni del primo gruppo

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Nel 1974, in risposta alla pubblicazione del rapporto “I limiti dello sviluppo” commissionato dal Club di Roma, Wilfred Beckerman avanzò una feroce critica con il libro “In defense of Economic Growth”*.

La convinzione di Beckerman è che “se si dovesse abbandonare la crescita come scelta politica, si dovrebbe abbandonare anche la democrazia” e “i costi di una non-crescita deliberata, in termini di trasformazione politica e sociale che la società si dovrebbe accollare, sarebbero astronomici.”

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Della stessa idea sono convinti altri economisti.

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Nel 2005, Benjamin M. Friedman pubblicò “The Moral Conseguences of Economic Growth” – in Italia nel 2006 con “il valore etico della crescita”* con il quale asseriva che i redditi in crescita portano a società più aperte e democratiche. I semplici redditi pro-capite alti non sono una protezione contro una svolta verso la rigidità e l’intolleranza.

È piuttosto quella sensazione di andare avanti e l’espansione economica che alimenta maggiori opportunità, tolleranza, mobilità sociale, equità e democrazia.

L’influente economista Dambisa Moyo ritiene che la crescita economica sia la sfida cruciale del nostro tempo. Senza crescita aumentano l’instabilità politica e sociale, il progresso umano diventa stagnante e la società va in declino*.

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La crescita economica quindi è una necessità politica e sociale a prescindere da quanto un paese sia già ricco – sostengono i seguaci del “bisogna continuare a volare”. Inoltre una nuova espansione economica è già in arrivo e può essere ecologicamente possibile.

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Erik Brynjolfsson e Andrew McAfee, studiosi del «Center for digital business» del Mit di Boston, nel loro libro “La nuova rivoluzione delle macchine” affermano che stiamo entrando a grandi passi nella seconda era delle macchine: i robot consentono una capacità produttiva sempre più alta che porterà una nuova ondata di crescita del Pil.*

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D’altro canto, Onu, Banca Mondiale, Fondo Monetario Internazionale (FIM), Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo  Economico (OCSE), puntano sulla crescita verde disaccoppiando il Pil dagli impatti ecologici (uso di acqua dolce, fertilizzanti e emissioni gas serra).

In questo modo il Pil continuerebbe a crescere nel tempo mentre l’uso delle risorse ad esso associato diminuirebbe. 

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Vediamo come funziona la teoria del disaccoppiamento (decoupling) nei tre percorsi possibili:

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Disaccoppiamento relativo,

Disaccoppiamento assoluto,

Disaccoppiamento assoluto sufficiente

Il decoupling o disaccoppiamento è la rottura del legame tra pressioni ambientali e beni economici. Si dice relativo quando la crescita economica è in salita mentre vi è un rallentamento delle emissioni di CO2. Si dice assoluto in presenza di una riduzione dell’impatto ambientale anche se il Pil è in crescita.

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Con la strategia del disaccoppiamento relativo, il Pil cresce mentre l’uso delle risorse e gli impatti ambientali sono molto più lenti.

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È bene notare che questo tipo di “crescita verde” è raggiungibile nei paesi a basso reddito in quanto sarebbero sufficienti misure di efficienza idrica ed energetica.

Nei paesi ad alto reddito però, dove i consumi hanno superato di gran lunga la capacità di sopportazione della Terra, il disaccoppiamento relativo non è assolutamente sufficiente. Questi paesi dovrebbero far crescere il Pil con un disaccoppiamento assoluto ossia l’uso delle risorse dovrebbe diminuire con l’aumentare del Pil.

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Se vogliamo vedere la realtà dei fatti, la riduzione della pressione sugli ecosistemi della Terra, soprattutto per quanto riguarda le emissioni di CO2, non sta avvenendo abbastanza in fretta.

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Bisogna che i paesi industrializzati abbiano standard più stringenti quando si parla di crescita verde e affrontare la necessità di applicare un sufficiente disaccoppiamento assoluto per rientrare nei limiti sopportabili del pianeta.

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I seguaci del “bisogna continuare a volare” sostengono che la crescita verde sia perseguibile * mettendo in pratica queste strategie:

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1. passando rapidamente da combustili fossili a energie rinnovabili;

2.passando da un’economia lineare a un’economia circolare ossia un sistema rigenerativo in cui i prodotti a fine uso non siano rifiuti ma siano materiali che possono essere riparati, dedicati a nuovo uso, riciclati;

3.espandendo il settore economico “immateriale” * ossia quello dei prodotti e servizi digitali attraverso l’e-commerce.

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È importante rilevare che la strategia del disaccoppiamento PIL-risorse non é una fase da adottare una tantum ma deve essere perenne.

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Ma siamo sicuri che queste misure possano portare un “disaccoppiamento” tale che nei paesi ad alto reddito la crescita sia sufficientemente verde?

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Con questo quesito, è interessante conoscere le argomentazioni dell’altro gruppo: i seguaci di “bisogna prepararsi all’atterraggio” i quali sono convinti che la crescita verde nei paesi ad alto reddito sia irrealizzabile. Neppure l’attuazione di un disaccoppiamento entro i limiti del pianeta è compatibile con la crescita del Pil.

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Gli economisti mainstream nel XX secolo hanno proposto varie teorie della crescita economica.

In particolare il premio Nobel Robert Solow nel 1956 con il suo modello Solow-Swan attribuiva la crescita economica degli Stati Uniti al progresso tecnologico** inteso come processo che porta nel tempo allo sviluppo della produttività, e quindi all’aumento della ricchezza all’interno di un Paese. Il modello di Solow prendeva in esame la forza lavoro e il capitale ma si mostrava lacunoso poiché si spiegava solo una parte della crescita esponenziale e lasciava non chiarito un imbarazzante “residuo” dell’87%.

Nel frattempo anche Moses Abramovitz,  studioso dello sviluppo economico e prof. alla Stanford university, approfondì le cause della crescita della produttività globale ma la sua analisi lo portò ad ammettere che questo residuo era in realtà una misura della nostra ignoranza sulle cause della crescita economica” *.

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Nel 2009, il fisico R. Ayres e l’economista ambientale B. Warr tracciarono un nuovo modello della crescita economica che, oltre la forza lavoro e il capitale, considerava l’energia o meglio l’exergia** ossia la percentuale dell’energia totale che può essere sfruttata per il lavoro utile, invece di finire dispersa sotto forma di residui e calore.

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Quando venne applicato il modello Ayres-Warr per spiegare la crescita economica esponenziale di paesi come Stati Uniti, Gran Bretagna, Giappone e Austria, emerse che il misterioso residuo di Solow attribuito al progresso tecnologico in realtà era dovuto all’aumento di efficienza con cui l’energia viene convertita in lavoro utile.

Gli ultimi due secoli di crescita esponenziale sono dovuti alla disponibilità di energia fossile a basso prezzo.

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I due ricercatori con “Crossing the Energy Divide: Moving from Fossil Fuel Dependence to a Clean-Energy Future”* Attraversare il divario energetico: passare dalla dipendenza dai combustibili fossili a un futuro di energia pulita mostrano come massicci miglioramenti nell’efficienza energetica che consentono di recuperare l’energia dispersa, possano colmare l’economia globale fino a quando le energie rinnovabili pulite potranno sostituire completamente i combustibili fossili.

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 È opinione di David Murphy, economista energetico che i tassi di crescita economica nel futuro non potranno essere gli stessi degli ultimi 100 anni*.

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E, a proposito di crescita verde, il gruppo “bisogna prepararsi  all’atterraggio” avanza perplessità e cita l’analisi dell’economista Gregor Semieniuk: l’economia “immateriale” è solo nel nome.

In realtà la rivoluzione digitale dipende da infrastrutture che comportano un alto consumo di materiali e per funzionare hanno bisogno di molta energia con tutte le implicazioni del caso.*

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Inoltre non è dato per scontato che l’economia immateriale contribuisca così tanto alla crescita del Pil poiché sono in grande espansione una vasta gamma di servizi e prodotti online (istruzione, formazione, intrattenimento, musica, software) di grande valore economico che non viene venduto con un ricavo ma viene condivido a basso costo o addirittura gratuitamente.

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È in grande sviluppo anche l’economia della condivisione (auto, coworking, spazi) e scambi (vestiti, libri, giocattoli). Anche in questo caso esiste un valore economico senza o quasi transazione di mercato. 

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Il Pil è avviato al declino mentre – sostiene Jeremy Rifkin – si sta sviluppando un nuovo e vivace paradigma che misura il valore economico in modo completamente nuovo.*

Dalla prospettiva della società o dei beni comuni questo cambiamento può essere entusiasmante in quanto finalizzato al benessere umano.

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Il tramonto del Pil però non è compatibile per finanza, business e Stato che, per la loro stessa natura, sono strutturati per ottenere introiti monetari.

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I seguaci del “bisogna prepararsi all’atterraggio” affermano che:

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1.la crescita infinita del Pil non è possibile quindi non è necessaria. Occorre passare a un’economia verde e sostenibile senza crescita;

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2.i redditi più alti non rendono più felici come dimostrato dall’economista Richard Easterlin che scoprì che la felicità auto-dichiarata aumentava con il reddito. Ma la cosa sorprendente dell’indagine, nota come il Paradosso di Easterlin** metteva in evidenza che, oltre una certa soglia, nonostante il Pil pro-capite fosse cresciuto, i livelli di felicità erano rimasti invariati se non scesi. “All’interno di un singolo Paese, in un dato momento reddito e felicità soggettiva non sono sempre legati, le persone più ricche non sono sempre le più felici **

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Tuttavia c’è da aggiungere che l’analisi di Easterlin è stata messa in discussione da altri studi. In particolare con le ricerche di Betsey Stevenson e Justin Wolfers emerge che la felicità auto-dichiarata aumenta con l’aumentare del reddito pro-capite e più lentamente se ci si riferisce alla ricchezza del paese*.

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Tenendo per buono il Paradosso di Easterlin, il fatto che la felicità auto-dichiarata rimanga stabile all’aumentare del reddito non ci viene dato sapere cosa succederebbe al livello di felicità se il reddito si stabilizzasse.

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Inoltre c’è da ricordare, come succede in molti paesi ad alto reddito, che la stagnazione dei salari sfocia in conflitti sociali e xenofobia.

Le nostre economie si sono evolute in una prospettiva di crescita ma hanno finito per dipenderne.

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Ora che abbiamo sentito le argomentazioni del gruppo “bisogna continuare a crescere” e quelle del gruppo “bisogna prepararsi all’atterraggio”, quale potrebbe essere la soluzione più efficace?

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Ha provato a tirare le fila Martin Wolf autorevole giornalista finanziario, con il suo articolo sul Financial Time, ponendo sul tavolo del dibattito alcune riflessioni:

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“Il punto più importante dei dibattiti sui cambiamenti climatici e sull’approvvigionamento energetico è che riportano la questione dei limiti. Ecco perché il cambiamento climatico e la sicurezza energetica sono questioni così importanti dal punto di vista geopolitico.

Perché se ci sono limiti alle emissioni, potrebbero esserci anche limiti alla crescita. Ma se ci sono davvero dei limiti alla crescita, le basi politiche del nostro mondo vanno in pezzi. Inoltre il rischio è che possano riemergere intensi conflitti distributivi – anzi, stanno già emergendo – all’interno e tra i paesi.

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La risposta di molti, in particolare ambientalisti e persone con tendenze socialiste, è di accogliere tali conflitti. Questi, credono, sono i dolori del parto di una società globale giusta. Sono fortemente in disaccordo. È molto più probabile che sia un passo verso un mondo caratterizzato da conflitti catastrofici e repressione brutale. Questo è il motivo per cui condivido la risposta ostile dei liberali classici e dei libertari alla nozione stessa di tali limiti, poiché li vedono come la campana a morto di ogni speranza di libertà interna e relazioni estere pacifiche.

Gli ottimisti credono che la crescita economica possa continuare e continuerà. I pessimisti credono o che non lo farà o che non lo farà se vogliamo evitare la distruzione dell’ambiente.

Penso che dobbiamo cercare di sposare ciò che ha senso in queste visioni opposte.

È vitale per le speranze di pace e libertà che sosteniamo l’economia mondiale a somma positiva. 

Ma non è meno vitale affrontare le sfide ambientali e di risorse che l’economia ha lanciato.

Sarà difficile”.*

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La prossima volta vedremo come Kate Raworth ci farà uscire da questo dilemma molto complesso.

Se ti piace questo argomento, condivi l’articolo! Grazie.

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Legenda relativa ai link:

* fonte citata nel libro “Economia della Ciambella”

** approfondimento suggerito da Culturaintour

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⭕ Verso la prosperità

, in

Lʼeconomia della ciambella di Kate Raworth – puntata 20, seconda parte

Sette mosse per pensare come un economista del XXI secolo 

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7a mossa, Essere agnostici sulla crescita

Passare da “dipendenti”

a “agnostici riguardo alla crescita”

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Verso la prosperità

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Ci siamo lasciati con il dilemma se continuare a volare o atterrare.

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E quindi eccoci qui, sul nostro aereo-economia: se non faremo nulla il volo continuerà verso la direzione dell’economia degenerativa e divisiva e sicuramente non porterà nulla di buono.

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Se invece decidiamo di cambiare direzione e seguire il percorso di un’economia rigenerativa e distributiva per principio si presentano nuove domande e allo stesso tempo bisogna affrontare una serie di radicali ed enormi trasformazioni.

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Cosa succederà al Pil?

Aumenterà o diminuirà nei paesi ad alto reddito?

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Certo è che occorre attraversare un impegnativo periodo di transizione: richiede la trasformazione di molti settori, della finanza, della produzione del cibo e implica una forte contrazione di industrie minerarie, cessazione della produzione di combustili fossili.

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Al contempo si devono pianificare investimenti a lungo termine delle energie rinnovabili, trasporti pubblici, ammodernamento degli edifici.

Occorre si investa nelle fonti di ricchezza – naturale, umana, culturale e fisica – dalle quali scaturiscono tutti i valori, che siano monetizzati o no.

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In realtà, come si comporterà il Pil quando realizzeremo questa transizione, verso lo spazio sicuro ed equo della Ciambella, non si può prevedere.

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La questione è che le economie capitalistiche negli ultimi due secoli sono state strutturate (leggi, istituzioni, politiche e valori) in modo da aspettarsi e chiedere una continua crescita e l’aereo-economia si ritrova così in una situazione di stallo: abbiamo bisogno di crescere ma che non ci fa prosperare e, viceversa, se puntiamo a prosperare non si può crescere.

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Proseguendo nella lettura ti renderai conto che l’aereo-economia ha creato forme di dipendenza dalla crescita ovunque: nelle istituzioni, nelle politiche, nella finanza e nella cultura a livello sociale.

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La soluzione è “imparare ad atterrare” ricorrendo al pensiero sistemico.

Certo, i piloti-economisti non stati preparati per questo e non hanno esperienza per far atterrare l’aereo-economia ma, come dice l’economista Peter Victor, meglio “rallentare per principio e non per disastro”**.

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La crescita del Pil deriva da un ciclo di feedback positivi che alla fine incontrerà un limite ossia un feedback negativo. Il limite è la capacità di sopportazione del mondo vivente.

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Come gestirebbe questa complicata situazione un pensatore sistemico?

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Assuefatti dalla finanza: “E io cosa ci guadagno?”

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Ogni decisione nel mondo della finanza gira intorno a una domanda:

cosa ci guadagniamo?

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La ricerca del guadagno è la filosofia dell’economia capitalistica dal suo sorgere nell’Inghilterra nel XIX. La cosa sorprendente è che “il meccanismo messo in moto dal movente del guadagno” scrisse Karl Polanyi “era paragonabile per efficacia, solo alle più potenti esplosioni di fervore religioso della storia. Nell’arco di una generazione, l’intera umanità fu assoggettata alla sua fortissima influenza.*

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Prima ancora di Karl Polanyi, ne parlò Karl Marx, “il denaro crea denaro” * e, andando ancora più a ritroso, troviamo il pensiero di Aristotele che distingueva  l’economia – la nobile arte della gestione del nucleo domestico – dalla crematistica – la pericolosa arte di accumulare la ricchezza.

“Il denaro è stato concepito per essere usato nello scambio non per aumentare grazie agli interessi.”

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“Di tutti i modi in cui ci si può arricchire questo è il più innaturale”.

(“Politica” Aristotele IV secolo a.C.*)

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La ricerca del guadagno – vedi i ritorni agli azionisti, il commercio speculativo e i prestiti a interessi – genera la dipendenza dal Pil e si innesta nel profondo del sistema finanziario.

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John Fullerton, ex-banchiere di Wall Street spiega che il sistema finanziario è basato sull’espansione economica non compatibile in un sistema- pianeta chiuso eppure la finanza non ha un tetto.*

Per questo John Fullerton assieme a Tim MacDonald si sono chiesti come le imprese rigenerative possano sottrarsi alla pressione a dover crescere esercitata dagli azionisti.

Hanno ideato una innovativa filosofia finanziaria. “Evergreen Direct Investing”* (EDI) è una forma di investimento per essere liberi dalla tirannia della massimizzazione del valore per gli azionisti.

Il programma ha una visione a lungo termine, come i fondi pensionistici, non prevede di pagare agli azionisti i dividendi (che sono basati sui profitti) ma distribuisce ritorni finanziari “accettabili” da imprese mature e con crescita bassa o nulla. Invece di pagare agli azionisti dividendi basati sui profitti, l’impresa assegna per sempre una quota del suo flusso di reddito agli investitori.

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Il fatto è che abbiamo un concetto riguardo all’aspettativa di guadagno infinito che va contro le leggi del nostro mondo.

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Che idea abbiamo del denaro?

Spesso è considerato esso stesso un bene e non viene investito.

In un contesto di economia rigenerativa quali caratteristiche dovrebbe avere per essere in linea con il mondo vivente?

Come si possono stimolare gli investimenti nei beni comuni o nell’economia circolare o nelle energie rinnovabili?

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Una soluzione può essere una “controstallia” e cioè una piccola tassa che si paga per il possesso del denaro, in modo che più si detiene e più perde valore.

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Il concetto fu introdotto dal tedesco Silvio Gesell**, economista e uomo d’affari.

Nel 1916 scrisse “The Natural Economic Order”  dove affermava che “se vogliamo che i soldi siano un mezzo di scambio migliore dobbiamo renderli delle merci peggiori”. *

Per quanto sembri un modo di intendere il denaro stravagante e irrealizzabile, la “controstallia” fu utilizzata negli anni Trenta in Germania e Austria a livello cittadino proprio per rinvigorire l’economia locale.

Il governo nazionale però interruppe l’iniziativa temendo di perdere il potere di creare denaro.

Dopo una ventina d’anni, J.M. Keynes fu molto interessato alle tesi di Gesell e gli dedica un paragrafo nella sua opera più importante Teoria generale dell’occupazione, dell’interesse e della moneta” ** e lo definisce uno «strano e immeritatamente trascurato profeta».

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Invece di incentivare i consumi di oggi, la proposta di avere una moneta dotata di “controstallia” stimolerebbe gli investimenti rigenerativi di domani.

Cambiare mentalità riguardo al denaro, fa cambiare l’economia: il principio è di trasformare le aspettative finanziarie sostituendo la ricerca del guadagno alla ricerca del mantenimento del valore. Un esempio è investire in piani rigenerativi come le riforestazioni.*

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Certamente progettare una controstallia nella valuta porta con sé molte domande circa le sue implicazioni per l’inflazione, tassi di scambio, fondi pensionistici: sono proprio le domande che bisogna prendere in esame, per favorire la creazione di una finanza adeguata a un’economia prospera invece che in continua crescita.

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Politicamente assuefatti: speranza, paura e potere

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Come abbiamo visto fino ad ora, la crescita economica, a partire da metà del XX secolo, diviene una necessità politica generata essenzialmente da tre motivi:

la speranza di far crescere gli introiti senza dover aumentare le tasse, la paura della disoccupazione e il potere delle foto di famiglia del G20.

Vediamoli nel dettaglio.

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La speranza di far crescere gli introiti senza alzare le tasse

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Una nazione dipende necessariamente dai fondi pubblici per investire nei beni e servizi per la collettività.

Per avere consenso i governi, si sa, sono sempre poco propensi ad alzare le tasse auspicando che sia il Pil a rimpinguare le casse dello Stato attraverso i gettiti fiscali. 

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Ecco le possibili soluzioni per superare la dipendenza dalle entrate fiscali generate dalla crescita:

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Primo, si dovrebbe far passare lo scopo effettivo delle tasse e ottenere consenso sociale.

Per fare questo occorre rivedere prima di tutto il linguaggio come segnala l’esperto di linguistica cognitiva George Lakoff. Nei discorsi politici spesso, per ottenere un facile consenso popolare, si chiede un “alleggerimento fiscale”. L’altra parte politica dovrebbe evitare di dichiararsi contraria.* È meglio argomentare queste improbabili promesse, proponendo una “giustizia sociale”.

Stesso dicasi quando si parla di “spesa pubblica” che fa pensare a un esborso infinito. Meglio definire “investimenti pubblici” per realizzare beni e servizi finalizzati al benessere collettivo.

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Secondo, mettere fine ai paradisi fiscali dei colossi del business. Questi paradisi stanno facilitando la perdita di oltre 100 miliardi di dollari di entrate fiscali in tutto il mondo. Un terzo della ricchezza offshore si trova nei paradisi fiscali collegati al Regno Unito dove non è dichiarata e non tassata.* La Global Alliance for Tax Justice è movimento per la giustizia fiscale. Si batte per avere sistemi fiscali progressivi e redistributivi.*

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Terzo, spostare la tassazione “dai flussi di reddito” agli “accumuli di ricchezza” (proprietà immobiliari e asset finanziari).

In questo modo si avrebbe come effetto il ridimensionamento del ruolo giocato dal Pil per garantire allo Stato un gettito fiscale. Le riforme fiscali che vanno in direzione di tasse progressive vengono molto poco tollerate dalle lobby perciò è necessario un forte impegno civico nella promozione e nella difesa di queste politiche.

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La paura della disoccupazione

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La diffusa disoccupazione porta con sé il seme dei conflitti sociali.

Fu per questo che, con la Grande Depressione, J.M. Keynes doveva trovare una risposta alla grave disoccupazione. L’obiettivo dell’economia divenne la crescita del Pil in quanto un’economia in espansione consentiva di creare la piena occupazione.

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Nel XXI secolo con la crescente robotizzazione del lavoro in tutti i settori, non è più pensabile che sia la crescita economica a compensare i licenziamenti dovuti all’automazione. Emerge l’opportunità di introdurre un reddito di base per tutti.

Ci sono altri interventi per risolvere la questione della disoccupazione, come quello della riduzione dell’orario di lavoro. Il passaggio a orari di lavoro retribuito molto più brevi offre una nuova via d’uscita dalle molteplici crisi che affrontiamo oggi. Molti di noi consumano ben oltre i propri mezzi economici e ben oltre i limiti dell’ambiente naturale, ma in modi che non riescono a migliorare il nostro benessere – e nel frattempo molti altri soffrono la povertà e la fame. La continua crescita economica nei paesi ad alto reddito renderà impossibile raggiungere obiettivi urgenti di riduzione del carbonio. * 

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Per applicare nuove misure però occorre procedere a una trasformazione dell’economia del lavoro: partendo dai sistemi fiscali e assicurativi:  i datori di lavoro per esempio dovrebbero avere convenienza quando assumo personale.

Poi ci sono le cooperative di lavoratori che si dimostrano più attente a prevenire i licenziamenti e sono una risposta adattativa a fronte di una domanda fluttuante.*

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Per incentivare il passaggio a economie più distributive e rigenerative si possono applicare misure politiche adeguate come spostare la tassazione ossia non tassare il lavoro ma l’uso delle risorse: questo porterebbe le aziende a cambiare la prospettiva: anziché ricercare modi per produrre di più con meno personale, si punterebbe alla riparazione e la rigenerazione di prodotti usando meno materiali magari creando nuovi posti di lavoro.

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Queste misure aiuterebbero a cambiare mentalità rispetto alla dipendenza dal Pil e diventare agnostiche sulla crescita?

Sicuramente servono esperimenti innovativi e studi più approfonditi.

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Il potere delle foto di famiglia del G20

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La foto dei leader al summit del G20 è emblematica: in uno scatto una nazione può vedersi rappresentata per il suo potere geopolitico che corrisponde alla crescita economica.

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E se la misurazione potesse cambiare e sia considerata di successo un’economia che prospera in equilibrio?

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In questo caso la ricchezza non potrà essere valutabile solo attraverso il denaro.

In alternativa al Pil, ci sono proposte di nuovi indici per misurare il benessere di una nazione.

Per esempio l’HDI – Human Development Index – ideatodel 1990 dall’ONU* i cui criteri di valutazione sono la salute, l’istruzione e reddito pro capite. Altri indicatori nel mondo sono “Happy Planet Index”** o “Inclusive Wealth Index”**, “Social Progress Index”**.

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Ci sono anche alternative alla competizione ossia iniziative strategiche volte a promuovere la collaborazione. Un esempio è il network C40, una rete globale di grandi città che operano per sviluppare e implementare politiche e programmi volti alla riduzione dell’emissione di gas serra e dei danni e dei rischi ambientali causati dai cambiamenti climatici.**

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Oggi il Pil ha le sue regole: é portatore di potere commerciale e militare a livello globale.

Una corsa economica per il potere globale è certamente una ragione comprensibile per concentrarsi sulla crescita a lungo termine, ma – spiega Kenneth Rogoff – se tale competizione è davvero una giustificazione centrale per questa attenzione, allora abbiamo bisogno di riesaminare i modelli macroeconomici standard, che ignorano completamente questo argomento.*

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Il punto è che occorrono pensatori innovativi nel settore delle relazioni internazionali per elaborare strategie che diano inizio a una governance globale agnostica della crescita.

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Socialmente dipendenti: qualcosa a cui aspirare

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I paesi industrializzati sono dipendenti e ossessionati dalla crescita del Pil: ci ritroviamo a vivere in una cultura basata sul consumismo e con crescenti tensioni dovute alle disuguaglianze.

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Fu davvero scaltro Edward Bernays che intuì il potenziale della conoscenza della psicologia umana e costruì il suo impero creando un metodo di persuasione utilizzando gli scritti sugli studi della psicoterapia di suo zio Sigmund Freud.

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Bernays, come abbiamo visto qui, ha trasformato la cultura del consumo in stile di vita.

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La pubblicità non è semplicemente un insieme di messaggi in competizione: è un linguaggio di per sé che viene continuamente utilizzato per fare la solita proposta generale – spiega il teorico dei media John Berger – propone che ognuno di noi trasformi se stesso, e la propria vita, comprando qualcos’altro.*

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Come possiamo liberarci da questi comportamenti?

I Paesi nordici hanno vietato le pubblicità rivolte ai bambini sotto i 12 anni e altri paesi hanno eliminato i cartelloni pubblicitari lungo le strade. Tuttavia quella più insidiosa e sempre più diffusa è la pubblicità online perché ha la peculiarità di essere personalizzata.

Purtroppo si aggiunge il fatto che per le comunità digitali la pubblicità è un mezzo di vitale importanza in quanto si è creata una sorta di dipendenza finanziaria.

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Ma in definitiva perché abbiamo questo bisogno insaziabile alla crescita?

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Da un lato abbiamo una scuola di pensiero che ritiene che “quando la torta economica cresce, le persone sono disposte a rispettare lo stato di diritto, le regole della maggioranza, i diritti delle minoranze, ecc.

Quando la torta economica cessa di crescere, le persone e le nazioni diventano predoni.”*

Per altri invece la crescita del Pil è un espediente per rimandare continuamente il bisogno di redistribuire.

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Secondo l’analisi di Kate Raworth, dopo aver consultato un importante esponente dell’economia della complessità, “abbiamo una forte spinta alla crescita perché le persone hanno bisogno di qualcosa a cui aspirare”.

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Se fosse vivo Edward Bernays che tanto ha studiato sulla psicologia umana per indurci a consumare, quali valori cercherebbe di attivare? A cosa potremmo aspirare che non sia il possedere di più?

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“I nostri eccessi sono il migliore indizio. Ogni volta che siamo eccessivi – afferma Adam Philips, psicanalista – nelle nostre vite dimostriamo una privazione di cui non siamo ancora consapevoli. I nostri eccessi sono il migliore indizio che abbiamo riguardo alla nostra stessa povertà, e il nostro modo migliore per nasconderla”. *

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Attraverso il consumismo nascondiamo a noi stessi la povertà delle nostre relazioni con gli altri e il mondo vivente. Per Sue Gerhardt, psicoterapeuta e autrice di “Selfish Society *, “abbiamo un’abbondanza materiale ma non un’abbondanza emotiva: a molte persone manca ciò che conta davvero”.*

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Una ricerca della New Economics Foundation, ha sintetizzato in cinque semplici azioni ciò che porta benessere*:

– connettersi alle persone intorno a noi;

– essere attivi fisicamente;

– informarsi sul mondo;

– apprendere nuove abilità;

– dare gli altri.

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Senza dimenticare che molti dei fattori che determinano lo scarso benessere sono incorporati nel nostro sistema economico neoliberista che, dagli anni ’80, è stato progettato e mantenuto dai ricchi per i propri interessi. **

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C’è bisogno di dirigersi verso un progresso morale e sociale – auspica Kate Raworth – dove le persone, non più prigioniere dell’arte di sopravvivere, possano aspirare all’arte di vivere.

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L’aereo economico può atterrare ora che conosce le regole dell’atterraggio: abbiamo visto tutte le forme di dipendenza dalla crescita che sono radicate a livello finanziario, politico, economico e sociale.

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Occorrono piani economici che prevedano la fine della crescita infinita del Pil e prosperare senza questa ossessione.

La metafora migliore non è un aereo come aveva fatto Rostow poiché non è capace di adattarsi a condizioni continuamente mutevoli.

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La metafora per il Pil per il XXI secolo è un abile windsurfer che cavalca la sua tavola ed è capace di gestire il vento con la sua vela, pronto a fare continui aggiustamenti, piegando, inclinando e ruotando il corpo, adattandosi all’interazione tra vento e onde.

Serve concepire il Pil come un indicatore che sale o scende e si adegua in risposta a un’economia in continua evoluzione.

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Ben vengano dunque innovatori per immaginare e progettare un’economia idonea all’arte di vivere nello spazio sicuro ed equo della Ciambella, distributiva, rigenerativa e agnostica sulla crescita.

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Ora conosci le azioni che ci avvicinano o ci allontanano dallo spazio equo e sicuro della Ciambella. Ci auguriamo ti sia utile questo lungo e intenso percorso.

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Per avere il riepilogo in immagini di tutto ciò che hai imparato, clicca sul bottone qui sotto:

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Legenda relativa ai link:

* fonte citata nel libro “Economia della Ciambella”

** approfondimento suggerito da Culturaintour

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Crisi climatica: problema e soluzione

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Oggi, sabato 22 aprile, è la giornata della Terra, è inevitabile far correre il pensiero alla Natura. 

Chissà cosa diranno oggi i giornali o le TV per celebrare questa data.

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Chissà se si parlerà di emergenza climatica sempre più grave, sempre più in accelerazione.

Molti ricorreranno al solito cliché della Madre Natura benevola ma maltrattata.

Forse si dirà che ci sono segnali preoccupanti sulla salute degli ecosistemi della Terra che è costretta a ribellarsi agli uomini con calamità naturali.

No, la Natura, alla quale peraltro apparteniamo, non ci punisce, “la Natura è del tutto indifferente alle nostre sorti” come ha recentemente affermato Telmo Pievani, filosofo della biologia, evoluzionista, saggista,  in una sua recente conferenza “Uomo vs Natura. Ecco perché perderemo la battaglia”

Accordi di Parigi, migrazioni, perdita di biodiversità, carne coltivata, farina di grillo, ingiustizia sociale, ingiustizia  climatica, deforestazione, incendi, …

Sono solo una esigua parte di termini, alcuni nuovissimi, di cui sentiamo parlare eppure sfugge alla stragrande maggioranza delle persone che sono tutti temi interconnessi e fanno parte di una stessa faccia della medaglia. L’altra faccia della medaglia è il nostro modello di economia dipendente da una crescita infinita.

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Nella sua conferenza Telmo Pievani (in calce trovate tutti i dettagli) ha riportato alcuni dati scientifici del Sesto Rapporto di valutazione (AR6) dell’Ipcc  (Intergovernmental Panel on Climate Change, in italiano Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico).

In merito alla transizione ecologica spaventano molto i costi e ci chiediamo come e chi li deve pagare. 

Non teniamo conto invece “come e chi” pagherà le conseguenze degli impatti climatici, perché la forza della Natura è potente e gli impatti sono e saranno sempre più intensi e frequenti (alluvioni, tempeste, incendi, etc.)

La comunità scientifica da decenni ci ha fornito i dati scientifici e ha dimostrato quanto stia succedendo agli ecosistemi del pianeta.

I costi per danni, senza contare le perdite di vite umane, saranno 20 volte più alti degli investimenti per una transizione ecologica e a subirne i costi economici e soprattutto gli impatti ambientali saranno soprattutto i nostri figli. 

Non si parla più di ricadute su un generico “posteri” si tratta dei nostri figli e dei giovani.

Le migrazioni sono un argomento sempre più scottante e provoca divisione di vedute tra gli stessi italiani. 

È imbarazzante fare i conti con la storia e le vicende umane che accadono prima di un fenomeno: l’80 per cento dei migranti lascia i propri territori non è per scelta. Le persone  sono obbligate a spostarsi principalmente per effetti legati ai cambiamenti climatici, desertificazioni, inondazioni e relative carestie. 

La politica fa fatica a tenere le redini di questi enormi cambiamenti e sono costretti ad agire con repressioni.

Si stima che da qui al 2050 si sposteranno circa un miliardo e mezzo di persone. Lasceranno località rurali spesso per l’infertilità dei suoli per dirigersi soprattutto nelle città del loro paese.

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Si prevede che il 75 per cento si sposterà rimanendo nella propria regione, il 25 per cento supererà il proprio confine di origine e il 5 per cento ossia circa 75 milioni di persone si sposteranno verso altri continenti di cui circa 15 milioni di persone arriveranno in Europa.

Conoscere queste dinamiche vuol dire fare i conti con verità scomode e rendersi conto che il riscaldamento globale è stato causato in gran parte dai paesi ricchi cioè quelli industrializzati. L’80% degli impatti ricadranno proprio sui paesi più poveri che sono responsabili del 6% delle emissioni.

Parlare della Terra vuol dire prendere consapevolezza che i cambiamenti climatici causano siccità, perdita di riserve di neve e quindi di acqua potabile. Parlare della Terra è far notare ai decisori politici che gli investimenti con soldi pubblici in combustili fossili sono del tutto anacronistici.

C’è bisogno di informazione ma da parte dei media e delle istituzioni è molto scarsa.

Gli ecosistemi sono a rischio, non ci sarà nessun fato benevolo nei nostri confronti, meglio prenderci la responsabilità per porre rimedio.

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Possiamo intervenire e contenere i danni e i futuri impatti, possiamo mantenere il nostro meraviglioso Pianeta vivibile e prospero. Serve la cooperazione sia a livello locale che globale.

Il primo passo  è l’informazione. 

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Avremo un mondo migliore se siamo felici (e non viceversa)

, in
Germinazioni
Installazione di Marisa Merlin
Evento Climate ChanCe a Venezia
(vecchi libri in cui sono stati  messi a germogliare i semi di cereali, frutta e verdura)
Germinazioni
Installazione di Marisa Merlin
Evento Climate ChanCe a Venezia
(vecchi libri in cui sono stati  messi a germogliare i semi di cereali, frutta e verdura)

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Ciao acculturati,

Ci siamo. 
“Un altro anno se ne va” canta Pacifico.
Buona norma è quella di fermarsi e vedere cosa si è fatto nei 365 giorni che avevamo a disposizione. Anzi, 355 per essere precisi.

Se continui a leggere ti raccontiamo cosa significa la frase indicata nell’oggetto.
Ora è il momento di “vedere” i più importanti progetti che abbiamo realizzato nel 2022 e che vanno nella direzione di “fare la nostra parte” per rendere questo mondo un posto migliore.
Iniziamo!

A partire da luglio abbiamo attivato una collaborazione con Ener2crowd, società for benefit. Le Società Benefit sono un’evoluzione del concetto di azienda: oltre agli obiettivi di profitto, hanno lo scopo di avere un impatto positivo sulla società e sull’ambiente naturale.

Ener2crowd ha scelto Culturaintour per il suo progetto educativo e finanzierà una serie di video per promuovere la cultura della sostenibilità e la consapevolezza della crisi climatica.

Il 27 ottobre, a Milano, presso il Crédit Agricole si è svolto il grande evento di Ener2crowd: il “GreenVesting Forum”, durante il quale è stato presentato l’episodio 2 di Notizie dal 2050.

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Fai clic sull’immagine per vedere l’album completo dell’evento “GreenVesting Forum”.

Album foto evento GreenVesting Forum di Ener2crowd

Fai clic sull’immagine sotto, puoi vedere l’episodio 2 Notizie dal 2050 presentato all’evento di Ener2crowd e poi a Venezia il 1° dicembre.
Contiamo su di te per farlo conoscere: inoltra il video ai tuoi amici!!!

Clicca qui per vedere il video “Notizie dal 2050 ep. 2”

Per il secondo anno consecutivo, il nostro video è stato selezionato per il concorso “Climate ChanCe” promosso dal Centro Universitario Teatrale di Venezia che ha avuto luogo nel prestigioso Ateneo Veneto.L’evento, giunto alla decima edizione, ha tra i relatori, Luca Mercalli.   

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Il grande problema degli scienziati e dei climatologi è trovare una comunicazione efficace per un argomento così complesso e allo stesso tempo ansiogeno. Del resto, far finta di niente non è una buona strategia.

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Noi crediamo molto nel linguaggio del teatro e nella forza della creatività per coinvolgere e far interessare le persone a temi così importanti e urgenti.

Album foto evento Climate ChanCe a Venezia

Ora parliamo della frase “Avremo un mondo migliore se siamo felici”

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È dura da digerire questo paradosso, lo capiamo bene eppure ora ti spieghiamo subito come siamo giunte a questa conclusione.Sulla felicità si sono interrogati tutti gli uomini e le donne dalla notte dei tempi. Hanno cercato di dare una risposta a ciò che rende felici le correnti più diverse: la scienza, la letteratura, la filosofia, l’arte e persino l’economia.  
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Scommettiamo che anche tu hai pensato alla tua ricetta per la felicità.
Quali ingredienti hai messo?

un lavoro che ti piace?
salute?
tanti soldi?
trovare l’amore?
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Secondo un’indagine della psicologa, Sonja Lyubomirsky la felicità dipende dai nostri geni (50%), da circostanze esterne (10%), dai nostri pensieri/azioni (40%).

Sul fattore biologico stiamo sereni perché non possiamo farci niente.
Gli eventi esterni, 10%, sia belli che brutti, hanno un sensibile impatto sulla nostra felicità. Poi ci si abitua: gli esperti lo chiamano effetto “Treadmill” ossia dopo un certo lasso di tempo dall’evento, positivo o negativo, tendiamo a tornare ai livelli di felicità antecedenti l’evento stesso. Naturalmente occorre andare oltre le ovvietà assolute stile Catalano a “Quelli della notte”.
Siamo tutti d’accordo che è “Meglio un buon lavoro e ben pagato che essere licenziati e senza soldi” o “Meglio essere belli e in forma che brutti e malati”. 
Resta il fatto che abbiamo disposizione una fetta del 40% sotto il nostro pieno controllo attraverso i pensieri e le azioni.
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Sulla felicità a noi colpisce e affascina molto lo studio di Harvard iniziato nel 1938 e tuttora in corso. Nella ricerca della felicità creiamo nella mente i progetti più fantasiosi per conquistarla.
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I ricercatori di Harvard hanno scelto un percorso molto concreto per scoprire i fattori che portano a una vita piena, felice e in salute.  Per attuare lo studio si sono seguiti, dalla loro adolescenza fino all’età adulta,  724 individui di diversa estrazione economica e sociale: studenti della Harvard e ragazzi delle periferie povere di Boston. Tutti i giovani ogni due anni hanno risposto a questionari che riguardavano la salute, le abitudini, l’atteggiamento mentale e quanto accadeva nelle loro vite.
Considerata la longevità di questo esperimento nel corso degli anni, i ricercatori hanno passato di volta in volta il testimone e fortunatamente lo studio non ha mai avuto interruzioni.

Cosa è successo a questi giovani nel corso di un’intera esistenza? 
Quali lezioni sono racchiuse nelle migliaia di pagine di informazioni che sono state raccolte? 
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Ebbene ciò che emerge è questo: le buone relazioni ci mantengono felici e più sani.
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«I legami personali – dice il Dr. Robert Waldinger, che ora segue lo studio dei figli dei partecipanti originari – creano stimoli mentali ed emotivi che sono un fattore automatico di miglioramento dell’umore, mentre l’isolamento è un elemento di disturbo».
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Ecco le tre grandi lezioni da ricordare:
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La prima è che le relazioni sociali ci fanno molto bene invece la solitudine uccide. Risulta che le persone che sono socialmente più connesse alla famiglia, agli amici, alla comunità, sono più felici, più sane fisicamente, e vivono più a lungo.
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La seconda è curare la qualità dei legami soprattutto quelli più stretti. Le persone più soddisfatte delle loro relazioni a 50 anni sono più in salute a 80. 
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La terza lezione è che le relazioni proteggono il nostro corpo e anche il nostro cervello. Le persone che a 80 anni vivono una relazione stabile sanno di poter contare su qualcuno in caso di bisogno. Gli anziani che non hanno questo senso di protezione sperimentano un declino celebrale più precoce.
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Il nostro Dr. Robert Waldinger ci ricorda la citazione di Mark Twain: “La vita è così breve, non c’è tempo per litigi, scuse, rancori, rese di conti. C’è solamente il tempo per amare e solamente un istante, per così dire, per quello.”

La felicità non si raggiunge come fosse il traguardo di una maratona, è uno stato d’animo che si impara a coltivare ogni giorno così come occorre fare per i rapporti umani, badando all’essenziale, alle cose veramente importanti e all’arricchimento interiore. 
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Ecco perché è emblematica l’opera “Germinazioni” della foto in alto. Trasmette la forza della vita e della natura, evoca la gioia, la potenza della poesia, della conoscenza e della saggezza. 
Le piante suscitano la speranza che un mondo migliore abbia radici grazie alla nostra semina di buone relazioni e l’impossibile diventa possibile.
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Con queste suggestioni dedichiamo questa immagine a te e alla tua famiglia per farti gli auguri di Buon Natale e Felice 2023!

Margherita e Ester

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