⭕ Il Pil, come il cuculo nel nido

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L’economia della ciambella di Kate Raworth – puntata 6

Sette mosse per pensare come un economista del XXI secolo

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1a mossa, Cambiare obiettivo

Passare dal Pil

alla Ciambella in equilibrio

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Il Pil, come il cuculo nel nido

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Il cuculo non nidifica e non cresce i propri piccoli.

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La femmina di cuculo, infatti,  attende il momento in cui il nido di altri volatili sia incustodito per deporvi il suo tra le uova già presenti. 

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Quando i proprietari del nido rientrano, ignari, covano amorevolmente le loro uova compreso quello intruso che apparentemente è somigliante alle uova legittime.

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Quando si schiude, generalmente prima degli altri, il pulcino cuculo si libera delle uova degli uccelli proprietari del nido e li getta fuori. 

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Rimasto solo, verrà nutrito abbondantemente diventando più grande degli stessi genitori adottivi con dimensioni assurde tali da debordare dal minuscolo nido.

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Kate si serve di questa metafora per affermare che il “pil-cuculo” si è impossessato del  “nido-economia”: la sua crescita è diventato l’obiettivo dell’economia stessa.

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Come ha fatto l’economia a perdere il suo obiettivo?

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Scopriamo la sua genesi.

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Nell’antica Grecia, Senofonte (circa 390 a.C.) coniò il termine “economia” descrivendola come arte, la pratica della gestione domestica. Più tardi Aristotele distinse l‘economia dalla crematistica cioè l’arte di acquisire ricchezza.

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Nel 1767 con James Steuart l’economia perse il concetto di arte per passare a “scienza delle politiche domestiche nelle nazioni libere”. Steuart  affermò che essa ha lo scopo di  assicurare un certo fondo per la sussistenza di tutti gli abitanti e creare cooperazione tra di essi per soddisfare i reciproci bisogni e i desideri.

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Nel 1776  Adam Smith, sebbene sia noto per aver promosso il mercato libero, riformulò la definizione dando all’economia il duplice scopo di fornire sussistenza alle persone e allo Stato introiti da destinare ai servizi pubblici.*

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La vera svolta avvenne nel 1844 con l’economista John Stuart Mill, uno dei massimi esponenti del liberalismo, che descrisse l’economia politica come “una scienza che delinea le leggi di quei fenomeni della società che sorgono dalle operazioni combinate dell’umanità per la produzione della ricchezza”.**

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In altre parole per Mill l’oggetto di studio dell’economia non è la società economica nel suo complesso ma l’aspetto umano di ricercare la ricchezza.

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Questi princìpi diventano la tendenza perseguita da molti altri economisti nei decenni successivi che diedero svariate definizioni perdendo pian piano il concetto di occuparsi dei valori e degli obiettivi propri dell’economia.

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Alla fine è emersa come una “scienza positiva”,** analizza “ciò che effettivamente è” ossia la sua finalità è puramente conoscitiva.

E, per tornare alla metafora del cuculo, il nido incustodito va riempito.

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Vuoi sapere quando è nato il Pil?

Non perderti la prossima puntata. 

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Immagine:

Blog LaValnerina.it

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Legenda relativa ai link:

* fonte citata nel libro “Economia della Ciambella”

** approfondimento suggerito da Culturaintour

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⭕ Pil, nato per crescere

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L’economia della ciambella di Kate Raworth – puntata 7

Sette mosse per pensare come un economista del XXI secolo

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1a mossa, Cambiare obiettivo

Passare dal Pil

alla Ciambella in equilibrio

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Pil, nato per crescere

Sul finire del 1929 gli Stati Uniti subirono il crollo della borsa, il cosiddetto “Crollo di Wall Street” e si innescarono una serie di effetti domino portando l’economia americana al collasso: fallimento di banche, chiusura di fabbriche, disoccupazione, caduta verticale di consumi, riduzione di salari, risparmiatori che ritirarono i propri depositi.

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Gli effetti non tardarono e nel disastro cadde l’intera economia mondiale.

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La crisi durò un decennio. La ripresa iniziò nel 1933 con Franklin D. Roosevelt . Il neo eletto presidente adottò un piano di riforme economiche e sociali fra il 1933 e il 1937, detto New Deal. 

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Roosevelt ebbe bisogno di un’unità di misura per monitorare l’andamento dell’economia. Questo compito fu affidato all’economista Simon Kuznets (premio Nobel per l’economia nel 1971) che elaborò il Gross Domestic Product (GDP) in italiano Prodotto Interno Lordo (Pil).

Questa unità di misura consentì al Presidente degli Stati Uniti di controllare l’efficacia del suo programma New Deal: più la linea del Pil volgeva verso l’alto più l’economia stava crescendo.

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Gli Stati Uniti così si risollevarono dalla crisi e presto ci si dimenticò che Kuznets, il padre ideatore del Pil, sin dall’inizio (1937)  volle precisare che il suo indicatore comprendeva solo il valore dei beni e servizi prodotti ma non rifletteva il modo in cui il reddito e il consumo fossero realmente distribuiti e quindi non teneva conto dell’effettivo benessere della società.

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Tuttavia il paradigma della crescita si consolidò fortemente.

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Negli anni Cinquanta l’ascesa economica dell’Unione Sovietica diventò ragione di competizione per gli Stati Uniti che puntarono in modo ancora più determinato a dare impulso all’economia.

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Questo modello venne visto come una panacea capace di risolvere problemi sociali, economici e politici.

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L’idea dell’aumento costante del Pil si sovrappose con l’idea di progresso poiché evocava l’immagine dimovimento che va avanti” o “verso l’alto” modellando il modo di pensare e di parlare.* **

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Negli anni Sessanta Kuznets divenne uno dei critici più accaniti verso la popolarità del Pil evidenziando che il benessere di una nazione difficilmente può essere dedotto dalla misura del reddito nazionale.

Arriviamo agli inizi anni Settanta quando Donella Meadows, una scienziata dei sistemi, non si stancò di mettere in allerta il mondo del pericolo di considerare la crescita economica come illimitata.

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Donella Meadows, una delle principali autrici del rapporto “I limiti della crescita” pubblicato nel 1972 e commissionato dal Club di Roma, fu decisamente chiara a marzo 1999* nel corso di una conferenza quando affermò che “ gli obiettivi devono avere a che fare con la vera realizzazione umana, non solo con l’ottenere di più “.

E poi farsi sempre le domande:  

Crescita di cosa? Crescita perché? Crescita per chi? Quanto tempo può durare? “

Le riflessioni di Donella Meadows possono sembrare di parte ma suona davvero ironico il fatto che lo stesso creatore del Pil, Simon Kuznets, scrisse negli anni Sessanta nel il suo libro “How to judge Quality”: bisogna tenere in mente la distinzione tra quantità e qualità della crescita, tra costi e benefici, tra il breve e il lungo termine. Gli obiettivi dovrebbero essere espliciti: obiettivi di maggiore crescita dovrebbero precisare maggiore crescita di cosa e per cosa.

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Senza ulteriori indugi, è giunto il momento di sfrattare il cuculo dal nido.

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Bisogna concentrarsi su obiettivi che assicurino dignità e opportunità entro i limiti consentiti dal pianeta in modo da  vivere nello spazio sicuro ed equo per l’umanità.

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disegno cuculo #irenerenon

credits: @ireneagh

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⭕ La ciambella in equilibrio

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L’economia della ciambella di Kate Raworth – puntata 8

Sette mosse per pensare come un economista del XXI secolo

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1a mossa, Cambiare obiettivo
Passare dal Pil
alla Ciambella in equilibrio

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La ciambella in equilibrio

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La risposta che si dà la politica dopo ogni crisi è sempre la stessa: crescita.

Si cerca di renderla più accattivante affiancandola ad altri aggettivi: crescita sostenuta oppure crescita intelligente, sostenibile, inclusiva.

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Ma sempre di crescita si tratta, è inutile cercare di legittimare questo modello economico anzi è proprio il segnale che è il momento di sfrattare il cuculo dal nido.

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Per farlo bisogna cambiare visione e tornare a parlare di valori e obiettivi e capire la direzione da prendere.

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L’umanità ha bisogno di una bussola per rifondare il pensiero economico e giungere a un modello di sviluppo equo e sostenibile. 

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Per spiegarlo Kate Raworth ha disegnato due anelli concentrici.

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L’anello interno (in rosso)  rappresenta il livello minimo sociale: ogni persona dovrebbe poter soddisfare bisogni primari quali:

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1.cibo

2.acqua

3.assistenza sanitaria

4.reddito

5.istruzione

6.energia

7.lavoro

8.diritto di espressione

9.parità di genere

10.equità sociale

11.resilienza agli shock

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L’anello esterno (in color ocra) è il limite ambientale cioè il tetto ecologico da rispettare per evitare danni ambientali gravi e irreversibili: perdita di biodiversità, accumulo di gas serra in atmosfera, alterazione dei cicli dell’azoto e del fosforo, ecc.

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Tra questi due anelli c’è uno spazio operativo sicuro per l’umanità (Safe and Operating Space, SOS) con un’economia rigenerativa e distributiva, in altre parole, ecologicamente sostenibile e socialmente equa.

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Attualmente miliardi di persone si trovano sotto il livello minimo sociale (il centro della ciambella) in quanto esiste una situazione di deprivazione che impedisce loro di soddisfare i bisogni essenziali. 

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Al  contrario, al di sopra del limite ambientale siamo in una zona di eccesso e di forte pressione sul tetto biofisico sopportabile dal pianeta.

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Lo sviluppo economico globale del XX secolo ha contribuito a togliere dalla povertà milioni di persone nel mondo consentendo di migliorare notevolmente lo standard di vita.

Questo però ha dato origine a un’impennata nel consumo delle risorse della Terra causando forti impatti ambientali.

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Dal 1950 al 2010 la popolazione mondiale è triplicata così come si sono intensificate le attività umane determinando nel giro di 200 anni una nuova epoca geologica chiamata, non a caso, Antropocene.** 

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Il termine deriva dal greco anthropos, che significa uomo con l’aggiunta del secondo elemento –ceneè l’era geologica nella quale  l’uomo e le sue attività sono la causa principale delle modifiche territoriali, strutturali e climatiche del pianeta.

Il termine venne divulgato negli anni 2000 da Paul Crutzen, premio Nobel per la Chimica a seguito delle sue pubblicazioni scientifiche.

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L’epoca che abbiamo lasciato alle spalle si chiama Olocene, caratterizzata da un clima stabile, abbondanza d’acqua dolce e una biodiversità prospera e generosa: condizioni che hanno garantito all’uomo la possibilità di progredire ed espandersi rapidamente.

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Con l’Antropocene invece si aprono scenari climatici sconosciuti e pericolosi per l’intera umanità e, in generale, per tutti gli esseri viventi sulla Terra.

Un team di esperti di scienze del sistema Terra e della sostenibilità guidato da Johan Rockström** ha identificato nove processi naturali che sono critici (per esempio sistema clima e ciclo dell’acqua) ma che ancora consentono di mantenere condizioni simili a quelle dell’Olocene.

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Per evitare di trovarci in una situazione incontrollabile, gli scienziati hanno stabilito dei confini, dei limiti da non oltrepassare. È vitale quindi regolare le attività umane affinché non si aggiungano ulteriori pressioni sul sistema pianeta.

“Siamo la prima generazione a riconoscere che stiamo mettendo a rischio la capacità del sistema Terra di sostenere lo sviluppo umano” (Johan Rockström) 

È bene ricordare che, purtroppo, quattro limiti sono già stati oltrepassati: cambiamenti climatici, trasformazione del suolo, flussi di azoto e fosforo e perdita della biodiversità.

A questo punto è facile intuire che i limiti biofisici del pianeta e la base sociale sono strettamente interconnessi.

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Ma come si può passare dalla crescita infinita alla prosperità in equilibrio?

Quali sono le soluzioni?

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La crescita infinita dettata dal Pil ci ha portato in una situazione molto pericolosa.

Siamo dunque la prima generazione ad essere consapevole di dover attuare una trasformazione che miri ad un futuro sostenibile e ciò si può fare adeguando il nostro modo di vivere, comprare, viaggiare, gestire il denaro tenendo conto dei limiti sociali e planetari illustrati con la Ciambella.

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Questo modo di agire deve essere applicato a tutti i livelli:  persone, comunità, strategie dei governi e di aziende.

Per Kate Raworth possiamo vivere nello spazio sicuro ed equo della ciambella se si tengono conto di cinque fattori determinanti:

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-Popolazione

Deve necessariamente stabilizzarsi: più abitanti ci sono più bisogni occorre soddisfare. 

La buona notizia è che la popolazione tende a stabilizzarsi quando le persone vivono senza privazioni rispettando un livello minimo sociale (come previsto nella Ciambella). È particolarmente importante l’istruzione delle donne e l’assistenza sanitaria dei bambini: è così che si può andare nella direzione auspicata.

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-Distribuzione della ricchezza globale

Le emissioni di gas serra vanno di pari passo con lo standard di vita di un popolo: tanto più lo stile di vita è alto tanto più aumentano tutti i consumi (dal cibo all’energia).

Come si fa a sfamare il 13% di popolazione malnutrita nel mondo? 

Se si pensa che attualmente buona parte (tra il 30 e 50%) del cibo mondiale va perso dopo il raccolto, sprecato nelle catene di rifornimento e addirittura buttato dai nostri piatti alla pattumiera, la fame potrebbe essere debellata con il 10% del cibo prodotto ma che non viene mangiato.

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-Aspirazioni

Entro il 2050 si prevede che il 70% della popolazione mondiale vivrà in zone urbane con un conseguente alzamento dello standard di vita e di consumo.

È necessario rimodulare le nostre aspirazioni in alternativa al modello del consumismo.

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-Tecnologia

Un altro fattore importantissimo è l’innovazione che deve rappresentare uno strumento per ottimizzare l’efficienza delle infrastrutture (alloggi autoriscaldanti o autorinfrescanti, trasporti con energie rinnovabili, etc)

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-Governance

Sono necessarie strutture di governance efficaci come non lo sono mai state prima, a partire dal livello locale fino a quello globale. È una grande sfida visto che occorre contrastare gli interessi radicati da lungo tempo, le norme e aspettative di paesi, aziende e comunità.

Resta il fatto che bisogna affrontare complesse interazioni del sistema Terra e ridurre la pressione dell’umanità sui limiti del pianeta.

Se la bussola della Ciambella ci orienta verso la prosperità in equilibrio con il pianeta, come possiamo rappresentare graficamente l’economia in relazione al tutto?

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Lo vedremo con la 2a mossa,  “Vedere l’immagine complessiva” mettendola a confronto con la raffigurazione dell’economia tradizionale così da comprendere perché siamo arrivati a questo punto. 

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Continua a seguirci!

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Legenda relativa ai link:

* fonte citata nel libro “Economia della Ciambella”

** approfondimento suggerito da Culturaintour

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⭕ Volare, o atterrare: questo è il dilemma

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Lʼeconomia della ciambella di Kate Raworth – puntata 20, prima parte

Sette mosse per pensare come un economista del XXI secolo 

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7a mossa, Essere agnostici sulla crescita

Passare da “dipendenti”

a “agnostici riguardo alla crescita”

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Volare, o atterrare: questo è il dilemma

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Possiamo continuare a volare?

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La scorsa volta abbiamo parlato dell’aereo-economia di Rostow.
Kate prosegue con la metafora.

Sull’aereo tra i passeggeri si apre il dibattito, assai appassionato, sulla crescita del Pil: ci sono due convinzioni contrapposte.

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Da un lato abbiamo la fila di coloro schierati a favore del “bisogna continuare a volare” e dicono ben chiaro che la crescita economica è ancora necessaria e quindi deve essere possibile.

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Dall’altra la fila dei seguaci del “bisogna prepararsi all’atterraggio” e sono fermi nel sostenere che la crescita economia non è più possibile e quindi non può essere necessaria.

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Vediamo di approfondire le argomentazioni del primo gruppo

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Nel 1974, in risposta alla pubblicazione del rapporto “I limiti dello sviluppo” commissionato dal Club di Roma, Wilfred Beckerman avanzò una feroce critica con il libro “In defense of Economic Growth”*.

La convinzione di Beckerman è che “se si dovesse abbandonare la crescita come scelta politica, si dovrebbe abbandonare anche la democrazia” e “i costi di una non-crescita deliberata, in termini di trasformazione politica e sociale che la società si dovrebbe accollare, sarebbero astronomici.”

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Della stessa idea sono convinti altri economisti.

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Nel 2005, Benjamin M. Friedman pubblicò “The Moral Conseguences of Economic Growth” – in Italia nel 2006 con “il valore etico della crescita”* con il quale asseriva che i redditi in crescita portano a società più aperte e democratiche. I semplici redditi pro-capite alti non sono una protezione contro una svolta verso la rigidità e l’intolleranza.

È piuttosto quella sensazione di andare avanti e l’espansione economica che alimenta maggiori opportunità, tolleranza, mobilità sociale, equità e democrazia.

L’influente economista Dambisa Moyo ritiene che la crescita economica sia la sfida cruciale del nostro tempo. Senza crescita aumentano l’instabilità politica e sociale, il progresso umano diventa stagnante e la società va in declino*.

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La crescita economica quindi è una necessità politica e sociale a prescindere da quanto un paese sia già ricco – sostengono i seguaci del “bisogna continuare a volare”. Inoltre una nuova espansione economica è già in arrivo e può essere ecologicamente possibile.

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Erik Brynjolfsson e Andrew McAfee, studiosi del «Center for digital business» del Mit di Boston, nel loro libro “La nuova rivoluzione delle macchine” affermano che stiamo entrando a grandi passi nella seconda era delle macchine: i robot consentono una capacità produttiva sempre più alta che porterà una nuova ondata di crescita del Pil.*

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D’altro canto, Onu, Banca Mondiale, Fondo Monetario Internazionale (FIM), Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo  Economico (OCSE), puntano sulla crescita verde disaccoppiando il Pil dagli impatti ecologici (uso di acqua dolce, fertilizzanti e emissioni gas serra).

In questo modo il Pil continuerebbe a crescere nel tempo mentre l’uso delle risorse ad esso associato diminuirebbe. 

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Vediamo come funziona la teoria del disaccoppiamento (decoupling) nei tre percorsi possibili:

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Disaccoppiamento relativo,

Disaccoppiamento assoluto,

Disaccoppiamento assoluto sufficiente

Il decoupling o disaccoppiamento è la rottura del legame tra pressioni ambientali e beni economici. Si dice relativo quando la crescita economica è in salita mentre vi è un rallentamento delle emissioni di CO2. Si dice assoluto in presenza di una riduzione dell’impatto ambientale anche se il Pil è in crescita.

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Con la strategia del disaccoppiamento relativo, il Pil cresce mentre l’uso delle risorse e gli impatti ambientali sono molto più lenti.

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È bene notare che questo tipo di “crescita verde” è raggiungibile nei paesi a basso reddito in quanto sarebbero sufficienti misure di efficienza idrica ed energetica.

Nei paesi ad alto reddito però, dove i consumi hanno superato di gran lunga la capacità di sopportazione della Terra, il disaccoppiamento relativo non è assolutamente sufficiente. Questi paesi dovrebbero far crescere il Pil con un disaccoppiamento assoluto ossia l’uso delle risorse dovrebbe diminuire con l’aumentare del Pil.

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Se vogliamo vedere la realtà dei fatti, la riduzione della pressione sugli ecosistemi della Terra, soprattutto per quanto riguarda le emissioni di CO2, non sta avvenendo abbastanza in fretta.

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Bisogna che i paesi industrializzati abbiano standard più stringenti quando si parla di crescita verde e affrontare la necessità di applicare un sufficiente disaccoppiamento assoluto per rientrare nei limiti sopportabili del pianeta.

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I seguaci del “bisogna continuare a volare” sostengono che la crescita verde sia perseguibile * mettendo in pratica queste strategie:

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1. passando rapidamente da combustili fossili a energie rinnovabili;

2.passando da un’economia lineare a un’economia circolare ossia un sistema rigenerativo in cui i prodotti a fine uso non siano rifiuti ma siano materiali che possono essere riparati, dedicati a nuovo uso, riciclati;

3.espandendo il settore economico “immateriale” * ossia quello dei prodotti e servizi digitali attraverso l’e-commerce.

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È importante rilevare che la strategia del disaccoppiamento PIL-risorse non é una fase da adottare una tantum ma deve essere perenne.

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Ma siamo sicuri che queste misure possano portare un “disaccoppiamento” tale che nei paesi ad alto reddito la crescita sia sufficientemente verde?

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Con questo quesito, è interessante conoscere le argomentazioni dell’altro gruppo: i seguaci di “bisogna prepararsi all’atterraggio” i quali sono convinti che la crescita verde nei paesi ad alto reddito sia irrealizzabile. Neppure l’attuazione di un disaccoppiamento entro i limiti del pianeta è compatibile con la crescita del Pil.

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Gli economisti mainstream nel XX secolo hanno proposto varie teorie della crescita economica.

In particolare il premio Nobel Robert Solow nel 1956 con il suo modello Solow-Swan attribuiva la crescita economica degli Stati Uniti al progresso tecnologico** inteso come processo che porta nel tempo allo sviluppo della produttività, e quindi all’aumento della ricchezza all’interno di un Paese. Il modello di Solow prendeva in esame la forza lavoro e il capitale ma si mostrava lacunoso poiché si spiegava solo una parte della crescita esponenziale e lasciava non chiarito un imbarazzante “residuo” dell’87%.

Nel frattempo anche Moses Abramovitz,  studioso dello sviluppo economico e prof. alla Stanford university, approfondì le cause della crescita della produttività globale ma la sua analisi lo portò ad ammettere che questo residuo era in realtà una misura della nostra ignoranza sulle cause della crescita economica” *.

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Nel 2009, il fisico R. Ayres e l’economista ambientale B. Warr tracciarono un nuovo modello della crescita economica che, oltre la forza lavoro e il capitale, considerava l’energia o meglio l’exergia** ossia la percentuale dell’energia totale che può essere sfruttata per il lavoro utile, invece di finire dispersa sotto forma di residui e calore.

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Quando venne applicato il modello Ayres-Warr per spiegare la crescita economica esponenziale di paesi come Stati Uniti, Gran Bretagna, Giappone e Austria, emerse che il misterioso residuo di Solow attribuito al progresso tecnologico in realtà era dovuto all’aumento di efficienza con cui l’energia viene convertita in lavoro utile.

Gli ultimi due secoli di crescita esponenziale sono dovuti alla disponibilità di energia fossile a basso prezzo.

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I due ricercatori con “Crossing the Energy Divide: Moving from Fossil Fuel Dependence to a Clean-Energy Future”* Attraversare il divario energetico: passare dalla dipendenza dai combustibili fossili a un futuro di energia pulita mostrano come massicci miglioramenti nell’efficienza energetica che consentono di recuperare l’energia dispersa, possano colmare l’economia globale fino a quando le energie rinnovabili pulite potranno sostituire completamente i combustibili fossili.

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 È opinione di David Murphy, economista energetico che i tassi di crescita economica nel futuro non potranno essere gli stessi degli ultimi 100 anni*.

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E, a proposito di crescita verde, il gruppo “bisogna prepararsi  all’atterraggio” avanza perplessità e cita l’analisi dell’economista Gregor Semieniuk: l’economia “immateriale” è solo nel nome.

In realtà la rivoluzione digitale dipende da infrastrutture che comportano un alto consumo di materiali e per funzionare hanno bisogno di molta energia con tutte le implicazioni del caso.*

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Inoltre non è dato per scontato che l’economia immateriale contribuisca così tanto alla crescita del Pil poiché sono in grande espansione una vasta gamma di servizi e prodotti online (istruzione, formazione, intrattenimento, musica, software) di grande valore economico che non viene venduto con un ricavo ma viene condivido a basso costo o addirittura gratuitamente.

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È in grande sviluppo anche l’economia della condivisione (auto, coworking, spazi) e scambi (vestiti, libri, giocattoli). Anche in questo caso esiste un valore economico senza o quasi transazione di mercato. 

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Il Pil è avviato al declino mentre – sostiene Jeremy Rifkin – si sta sviluppando un nuovo e vivace paradigma che misura il valore economico in modo completamente nuovo.*

Dalla prospettiva della società o dei beni comuni questo cambiamento può essere entusiasmante in quanto finalizzato al benessere umano.

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Il tramonto del Pil però non è compatibile per finanza, business e Stato che, per la loro stessa natura, sono strutturati per ottenere introiti monetari.

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I seguaci del “bisogna prepararsi all’atterraggio” affermano che:

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1.la crescita infinita del Pil non è possibile quindi non è necessaria. Occorre passare a un’economia verde e sostenibile senza crescita;

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2.i redditi più alti non rendono più felici come dimostrato dall’economista Richard Easterlin che scoprì che la felicità auto-dichiarata aumentava con il reddito. Ma la cosa sorprendente dell’indagine, nota come il Paradosso di Easterlin** metteva in evidenza che, oltre una certa soglia, nonostante il Pil pro-capite fosse cresciuto, i livelli di felicità erano rimasti invariati se non scesi. “All’interno di un singolo Paese, in un dato momento reddito e felicità soggettiva non sono sempre legati, le persone più ricche non sono sempre le più felici **

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Tuttavia c’è da aggiungere che l’analisi di Easterlin è stata messa in discussione da altri studi. In particolare con le ricerche di Betsey Stevenson e Justin Wolfers emerge che la felicità auto-dichiarata aumenta con l’aumentare del reddito pro-capite e più lentamente se ci si riferisce alla ricchezza del paese*.

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Tenendo per buono il Paradosso di Easterlin, il fatto che la felicità auto-dichiarata rimanga stabile all’aumentare del reddito non ci viene dato sapere cosa succederebbe al livello di felicità se il reddito si stabilizzasse.

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Inoltre c’è da ricordare, come succede in molti paesi ad alto reddito, che la stagnazione dei salari sfocia in conflitti sociali e xenofobia.

Le nostre economie si sono evolute in una prospettiva di crescita ma hanno finito per dipenderne.

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Ora che abbiamo sentito le argomentazioni del gruppo “bisogna continuare a crescere” e quelle del gruppo “bisogna prepararsi all’atterraggio”, quale potrebbe essere la soluzione più efficace?

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Ha provato a tirare le fila Martin Wolf autorevole giornalista finanziario, con il suo articolo sul Financial Time, ponendo sul tavolo del dibattito alcune riflessioni:

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“Il punto più importante dei dibattiti sui cambiamenti climatici e sull’approvvigionamento energetico è che riportano la questione dei limiti. Ecco perché il cambiamento climatico e la sicurezza energetica sono questioni così importanti dal punto di vista geopolitico.

Perché se ci sono limiti alle emissioni, potrebbero esserci anche limiti alla crescita. Ma se ci sono davvero dei limiti alla crescita, le basi politiche del nostro mondo vanno in pezzi. Inoltre il rischio è che possano riemergere intensi conflitti distributivi – anzi, stanno già emergendo – all’interno e tra i paesi.

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La risposta di molti, in particolare ambientalisti e persone con tendenze socialiste, è di accogliere tali conflitti. Questi, credono, sono i dolori del parto di una società globale giusta. Sono fortemente in disaccordo. È molto più probabile che sia un passo verso un mondo caratterizzato da conflitti catastrofici e repressione brutale. Questo è il motivo per cui condivido la risposta ostile dei liberali classici e dei libertari alla nozione stessa di tali limiti, poiché li vedono come la campana a morto di ogni speranza di libertà interna e relazioni estere pacifiche.

Gli ottimisti credono che la crescita economica possa continuare e continuerà. I pessimisti credono o che non lo farà o che non lo farà se vogliamo evitare la distruzione dell’ambiente.

Penso che dobbiamo cercare di sposare ciò che ha senso in queste visioni opposte.

È vitale per le speranze di pace e libertà che sosteniamo l’economia mondiale a somma positiva. 

Ma non è meno vitale affrontare le sfide ambientali e di risorse che l’economia ha lanciato.

Sarà difficile”.*

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La prossima volta vedremo come Kate Raworth ci farà uscire da questo dilemma molto complesso.

Se ti piace questo argomento, condivi l’articolo! Grazie.

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Legenda relativa ai link:

* fonte citata nel libro “Economia della Ciambella”

** approfondimento suggerito da Culturaintour

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⭕ Verso la prosperità

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Lʼeconomia della ciambella di Kate Raworth – puntata 20, seconda parte

Sette mosse per pensare come un economista del XXI secolo 

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7a mossa, Essere agnostici sulla crescita

Passare da “dipendenti”

a “agnostici riguardo alla crescita”

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Verso la prosperità

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Ci siamo lasciati con il dilemma se continuare a volare o atterrare.

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E quindi eccoci qui, sul nostro aereo-economia: se non faremo nulla il volo continuerà verso la direzione dell’economia degenerativa e divisiva e sicuramente non porterà nulla di buono.

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Se invece decidiamo di cambiare direzione e seguire il percorso di un’economia rigenerativa e distributiva per principio si presentano nuove domande e allo stesso tempo bisogna affrontare una serie di radicali ed enormi trasformazioni.

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Cosa succederà al Pil?

Aumenterà o diminuirà nei paesi ad alto reddito?

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Certo è che occorre attraversare un impegnativo periodo di transizione: richiede la trasformazione di molti settori, della finanza, della produzione del cibo e implica una forte contrazione di industrie minerarie, cessazione della produzione di combustili fossili.

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Al contempo si devono pianificare investimenti a lungo termine delle energie rinnovabili, trasporti pubblici, ammodernamento degli edifici.

Occorre si investa nelle fonti di ricchezza – naturale, umana, culturale e fisica – dalle quali scaturiscono tutti i valori, che siano monetizzati o no.

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In realtà, come si comporterà il Pil quando realizzeremo questa transizione, verso lo spazio sicuro ed equo della Ciambella, non si può prevedere.

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La questione è che le economie capitalistiche negli ultimi due secoli sono state strutturate (leggi, istituzioni, politiche e valori) in modo da aspettarsi e chiedere una continua crescita e l’aereo-economia si ritrova così in una situazione di stallo: abbiamo bisogno di crescere ma che non ci fa prosperare e, viceversa, se puntiamo a prosperare non si può crescere.

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Proseguendo nella lettura ti renderai conto che l’aereo-economia ha creato forme di dipendenza dalla crescita ovunque: nelle istituzioni, nelle politiche, nella finanza e nella cultura a livello sociale.

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La soluzione è “imparare ad atterrare” ricorrendo al pensiero sistemico.

Certo, i piloti-economisti non stati preparati per questo e non hanno esperienza per far atterrare l’aereo-economia ma, come dice l’economista Peter Victor, meglio “rallentare per principio e non per disastro”**.

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La crescita del Pil deriva da un ciclo di feedback positivi che alla fine incontrerà un limite ossia un feedback negativo. Il limite è la capacità di sopportazione del mondo vivente.

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Come gestirebbe questa complicata situazione un pensatore sistemico?

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Assuefatti dalla finanza: “E io cosa ci guadagno?”

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Ogni decisione nel mondo della finanza gira intorno a una domanda:

cosa ci guadagniamo?

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La ricerca del guadagno è la filosofia dell’economia capitalistica dal suo sorgere nell’Inghilterra nel XIX. La cosa sorprendente è che “il meccanismo messo in moto dal movente del guadagno” scrisse Karl Polanyi “era paragonabile per efficacia, solo alle più potenti esplosioni di fervore religioso della storia. Nell’arco di una generazione, l’intera umanità fu assoggettata alla sua fortissima influenza.*

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Prima ancora di Karl Polanyi, ne parlò Karl Marx, “il denaro crea denaro” * e, andando ancora più a ritroso, troviamo il pensiero di Aristotele che distingueva  l’economia – la nobile arte della gestione del nucleo domestico – dalla crematistica – la pericolosa arte di accumulare la ricchezza.

“Il denaro è stato concepito per essere usato nello scambio non per aumentare grazie agli interessi.”

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“Di tutti i modi in cui ci si può arricchire questo è il più innaturale”.

(“Politica” Aristotele IV secolo a.C.*)

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La ricerca del guadagno – vedi i ritorni agli azionisti, il commercio speculativo e i prestiti a interessi – genera la dipendenza dal Pil e si innesta nel profondo del sistema finanziario.

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John Fullerton, ex-banchiere di Wall Street spiega che il sistema finanziario è basato sull’espansione economica non compatibile in un sistema- pianeta chiuso eppure la finanza non ha un tetto.*

Per questo John Fullerton assieme a Tim MacDonald si sono chiesti come le imprese rigenerative possano sottrarsi alla pressione a dover crescere esercitata dagli azionisti.

Hanno ideato una innovativa filosofia finanziaria. “Evergreen Direct Investing”* (EDI) è una forma di investimento per essere liberi dalla tirannia della massimizzazione del valore per gli azionisti.

Il programma ha una visione a lungo termine, come i fondi pensionistici, non prevede di pagare agli azionisti i dividendi (che sono basati sui profitti) ma distribuisce ritorni finanziari “accettabili” da imprese mature e con crescita bassa o nulla. Invece di pagare agli azionisti dividendi basati sui profitti, l’impresa assegna per sempre una quota del suo flusso di reddito agli investitori.

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Il fatto è che abbiamo un concetto riguardo all’aspettativa di guadagno infinito che va contro le leggi del nostro mondo.

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Che idea abbiamo del denaro?

Spesso è considerato esso stesso un bene e non viene investito.

In un contesto di economia rigenerativa quali caratteristiche dovrebbe avere per essere in linea con il mondo vivente?

Come si possono stimolare gli investimenti nei beni comuni o nell’economia circolare o nelle energie rinnovabili?

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Una soluzione può essere una “controstallia” e cioè una piccola tassa che si paga per il possesso del denaro, in modo che più si detiene e più perde valore.

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Il concetto fu introdotto dal tedesco Silvio Gesell**, economista e uomo d’affari.

Nel 1916 scrisse “The Natural Economic Order”  dove affermava che “se vogliamo che i soldi siano un mezzo di scambio migliore dobbiamo renderli delle merci peggiori”. *

Per quanto sembri un modo di intendere il denaro stravagante e irrealizzabile, la “controstallia” fu utilizzata negli anni Trenta in Germania e Austria a livello cittadino proprio per rinvigorire l’economia locale.

Il governo nazionale però interruppe l’iniziativa temendo di perdere il potere di creare denaro.

Dopo una ventina d’anni, J.M. Keynes fu molto interessato alle tesi di Gesell e gli dedica un paragrafo nella sua opera più importante Teoria generale dell’occupazione, dell’interesse e della moneta” ** e lo definisce uno «strano e immeritatamente trascurato profeta».

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Invece di incentivare i consumi di oggi, la proposta di avere una moneta dotata di “controstallia” stimolerebbe gli investimenti rigenerativi di domani.

Cambiare mentalità riguardo al denaro, fa cambiare l’economia: il principio è di trasformare le aspettative finanziarie sostituendo la ricerca del guadagno alla ricerca del mantenimento del valore. Un esempio è investire in piani rigenerativi come le riforestazioni.*

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Certamente progettare una controstallia nella valuta porta con sé molte domande circa le sue implicazioni per l’inflazione, tassi di scambio, fondi pensionistici: sono proprio le domande che bisogna prendere in esame, per favorire la creazione di una finanza adeguata a un’economia prospera invece che in continua crescita.

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Politicamente assuefatti: speranza, paura e potere

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Come abbiamo visto fino ad ora, la crescita economica, a partire da metà del XX secolo, diviene una necessità politica generata essenzialmente da tre motivi:

la speranza di far crescere gli introiti senza dover aumentare le tasse, la paura della disoccupazione e il potere delle foto di famiglia del G20.

Vediamoli nel dettaglio.

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La speranza di far crescere gli introiti senza alzare le tasse

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Una nazione dipende necessariamente dai fondi pubblici per investire nei beni e servizi per la collettività.

Per avere consenso i governi, si sa, sono sempre poco propensi ad alzare le tasse auspicando che sia il Pil a rimpinguare le casse dello Stato attraverso i gettiti fiscali. 

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Ecco le possibili soluzioni per superare la dipendenza dalle entrate fiscali generate dalla crescita:

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Primo, si dovrebbe far passare lo scopo effettivo delle tasse e ottenere consenso sociale.

Per fare questo occorre rivedere prima di tutto il linguaggio come segnala l’esperto di linguistica cognitiva George Lakoff. Nei discorsi politici spesso, per ottenere un facile consenso popolare, si chiede un “alleggerimento fiscale”. L’altra parte politica dovrebbe evitare di dichiararsi contraria.* È meglio argomentare queste improbabili promesse, proponendo una “giustizia sociale”.

Stesso dicasi quando si parla di “spesa pubblica” che fa pensare a un esborso infinito. Meglio definire “investimenti pubblici” per realizzare beni e servizi finalizzati al benessere collettivo.

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Secondo, mettere fine ai paradisi fiscali dei colossi del business. Questi paradisi stanno facilitando la perdita di oltre 100 miliardi di dollari di entrate fiscali in tutto il mondo. Un terzo della ricchezza offshore si trova nei paradisi fiscali collegati al Regno Unito dove non è dichiarata e non tassata.* La Global Alliance for Tax Justice è movimento per la giustizia fiscale. Si batte per avere sistemi fiscali progressivi e redistributivi.*

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Terzo, spostare la tassazione “dai flussi di reddito” agli “accumuli di ricchezza” (proprietà immobiliari e asset finanziari).

In questo modo si avrebbe come effetto il ridimensionamento del ruolo giocato dal Pil per garantire allo Stato un gettito fiscale. Le riforme fiscali che vanno in direzione di tasse progressive vengono molto poco tollerate dalle lobby perciò è necessario un forte impegno civico nella promozione e nella difesa di queste politiche.

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La paura della disoccupazione

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La diffusa disoccupazione porta con sé il seme dei conflitti sociali.

Fu per questo che, con la Grande Depressione, J.M. Keynes doveva trovare una risposta alla grave disoccupazione. L’obiettivo dell’economia divenne la crescita del Pil in quanto un’economia in espansione consentiva di creare la piena occupazione.

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Nel XXI secolo con la crescente robotizzazione del lavoro in tutti i settori, non è più pensabile che sia la crescita economica a compensare i licenziamenti dovuti all’automazione. Emerge l’opportunità di introdurre un reddito di base per tutti.

Ci sono altri interventi per risolvere la questione della disoccupazione, come quello della riduzione dell’orario di lavoro. Il passaggio a orari di lavoro retribuito molto più brevi offre una nuova via d’uscita dalle molteplici crisi che affrontiamo oggi. Molti di noi consumano ben oltre i propri mezzi economici e ben oltre i limiti dell’ambiente naturale, ma in modi che non riescono a migliorare il nostro benessere – e nel frattempo molti altri soffrono la povertà e la fame. La continua crescita economica nei paesi ad alto reddito renderà impossibile raggiungere obiettivi urgenti di riduzione del carbonio. * 

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Per applicare nuove misure però occorre procedere a una trasformazione dell’economia del lavoro: partendo dai sistemi fiscali e assicurativi:  i datori di lavoro per esempio dovrebbero avere convenienza quando assumo personale.

Poi ci sono le cooperative di lavoratori che si dimostrano più attente a prevenire i licenziamenti e sono una risposta adattativa a fronte di una domanda fluttuante.*

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Per incentivare il passaggio a economie più distributive e rigenerative si possono applicare misure politiche adeguate come spostare la tassazione ossia non tassare il lavoro ma l’uso delle risorse: questo porterebbe le aziende a cambiare la prospettiva: anziché ricercare modi per produrre di più con meno personale, si punterebbe alla riparazione e la rigenerazione di prodotti usando meno materiali magari creando nuovi posti di lavoro.

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Queste misure aiuterebbero a cambiare mentalità rispetto alla dipendenza dal Pil e diventare agnostiche sulla crescita?

Sicuramente servono esperimenti innovativi e studi più approfonditi.

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Il potere delle foto di famiglia del G20

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La foto dei leader al summit del G20 è emblematica: in uno scatto una nazione può vedersi rappresentata per il suo potere geopolitico che corrisponde alla crescita economica.

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E se la misurazione potesse cambiare e sia considerata di successo un’economia che prospera in equilibrio?

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In questo caso la ricchezza non potrà essere valutabile solo attraverso il denaro.

In alternativa al Pil, ci sono proposte di nuovi indici per misurare il benessere di una nazione.

Per esempio l’HDI – Human Development Index – ideatodel 1990 dall’ONU* i cui criteri di valutazione sono la salute, l’istruzione e reddito pro capite. Altri indicatori nel mondo sono “Happy Planet Index”** o “Inclusive Wealth Index”**, “Social Progress Index”**.

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Ci sono anche alternative alla competizione ossia iniziative strategiche volte a promuovere la collaborazione. Un esempio è il network C40, una rete globale di grandi città che operano per sviluppare e implementare politiche e programmi volti alla riduzione dell’emissione di gas serra e dei danni e dei rischi ambientali causati dai cambiamenti climatici.**

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Oggi il Pil ha le sue regole: é portatore di potere commerciale e militare a livello globale.

Una corsa economica per il potere globale è certamente una ragione comprensibile per concentrarsi sulla crescita a lungo termine, ma – spiega Kenneth Rogoff – se tale competizione è davvero una giustificazione centrale per questa attenzione, allora abbiamo bisogno di riesaminare i modelli macroeconomici standard, che ignorano completamente questo argomento.*

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Il punto è che occorrono pensatori innovativi nel settore delle relazioni internazionali per elaborare strategie che diano inizio a una governance globale agnostica della crescita.

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Socialmente dipendenti: qualcosa a cui aspirare

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I paesi industrializzati sono dipendenti e ossessionati dalla crescita del Pil: ci ritroviamo a vivere in una cultura basata sul consumismo e con crescenti tensioni dovute alle disuguaglianze.

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Fu davvero scaltro Edward Bernays che intuì il potenziale della conoscenza della psicologia umana e costruì il suo impero creando un metodo di persuasione utilizzando gli scritti sugli studi della psicoterapia di suo zio Sigmund Freud.

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Bernays, come abbiamo visto qui, ha trasformato la cultura del consumo in stile di vita.

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La pubblicità non è semplicemente un insieme di messaggi in competizione: è un linguaggio di per sé che viene continuamente utilizzato per fare la solita proposta generale – spiega il teorico dei media John Berger – propone che ognuno di noi trasformi se stesso, e la propria vita, comprando qualcos’altro.*

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Come possiamo liberarci da questi comportamenti?

I Paesi nordici hanno vietato le pubblicità rivolte ai bambini sotto i 12 anni e altri paesi hanno eliminato i cartelloni pubblicitari lungo le strade. Tuttavia quella più insidiosa e sempre più diffusa è la pubblicità online perché ha la peculiarità di essere personalizzata.

Purtroppo si aggiunge il fatto che per le comunità digitali la pubblicità è un mezzo di vitale importanza in quanto si è creata una sorta di dipendenza finanziaria.

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Ma in definitiva perché abbiamo questo bisogno insaziabile alla crescita?

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Da un lato abbiamo una scuola di pensiero che ritiene che “quando la torta economica cresce, le persone sono disposte a rispettare lo stato di diritto, le regole della maggioranza, i diritti delle minoranze, ecc.

Quando la torta economica cessa di crescere, le persone e le nazioni diventano predoni.”*

Per altri invece la crescita del Pil è un espediente per rimandare continuamente il bisogno di redistribuire.

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Secondo l’analisi di Kate Raworth, dopo aver consultato un importante esponente dell’economia della complessità, “abbiamo una forte spinta alla crescita perché le persone hanno bisogno di qualcosa a cui aspirare”.

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Se fosse vivo Edward Bernays che tanto ha studiato sulla psicologia umana per indurci a consumare, quali valori cercherebbe di attivare? A cosa potremmo aspirare che non sia il possedere di più?

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“I nostri eccessi sono il migliore indizio. Ogni volta che siamo eccessivi – afferma Adam Philips, psicanalista – nelle nostre vite dimostriamo una privazione di cui non siamo ancora consapevoli. I nostri eccessi sono il migliore indizio che abbiamo riguardo alla nostra stessa povertà, e il nostro modo migliore per nasconderla”. *

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Attraverso il consumismo nascondiamo a noi stessi la povertà delle nostre relazioni con gli altri e il mondo vivente. Per Sue Gerhardt, psicoterapeuta e autrice di “Selfish Society *, “abbiamo un’abbondanza materiale ma non un’abbondanza emotiva: a molte persone manca ciò che conta davvero”.*

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Una ricerca della New Economics Foundation, ha sintetizzato in cinque semplici azioni ciò che porta benessere*:

– connettersi alle persone intorno a noi;

– essere attivi fisicamente;

– informarsi sul mondo;

– apprendere nuove abilità;

– dare gli altri.

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Senza dimenticare che molti dei fattori che determinano lo scarso benessere sono incorporati nel nostro sistema economico neoliberista che, dagli anni ’80, è stato progettato e mantenuto dai ricchi per i propri interessi. **

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C’è bisogno di dirigersi verso un progresso morale e sociale – auspica Kate Raworth – dove le persone, non più prigioniere dell’arte di sopravvivere, possano aspirare all’arte di vivere.

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L’aereo economico può atterrare ora che conosce le regole dell’atterraggio: abbiamo visto tutte le forme di dipendenza dalla crescita che sono radicate a livello finanziario, politico, economico e sociale.

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Occorrono piani economici che prevedano la fine della crescita infinita del Pil e prosperare senza questa ossessione.

La metafora migliore non è un aereo come aveva fatto Rostow poiché non è capace di adattarsi a condizioni continuamente mutevoli.

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La metafora per il Pil per il XXI secolo è un abile windsurfer che cavalca la sua tavola ed è capace di gestire il vento con la sua vela, pronto a fare continui aggiustamenti, piegando, inclinando e ruotando il corpo, adattandosi all’interazione tra vento e onde.

Serve concepire il Pil come un indicatore che sale o scende e si adegua in risposta a un’economia in continua evoluzione.

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Ben vengano dunque innovatori per immaginare e progettare un’economia idonea all’arte di vivere nello spazio sicuro ed equo della Ciambella, distributiva, rigenerativa e agnostica sulla crescita.

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Ora conosci le azioni che ci avvicinano o ci allontanano dallo spazio equo e sicuro della Ciambella. Ci auguriamo ti sia utile questo lungo e intenso percorso.

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Per avere il riepilogo in immagini di tutto ciò che hai imparato, clicca sul bottone qui sotto:

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Legenda relativa ai link:

* fonte citata nel libro “Economia della Ciambella”

** approfondimento suggerito da Culturaintour

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