⭕ Diventare generosi per principio
Lʼeconomia della ciambella di Kate Raworth – puntata 18, prima parte
Sette mosse per pensare come un economista del XXI secolo
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6a mossa, Creare per rigenerare
Passare da “la crescita ripulirà”
a rigenerativi per progetto
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Diventare generosi per principio
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Cosa fa una azienda di fronte alla presa di coscienza che la progettazione lineare degenerativa esercita una pressione molto pericolosa sui limiti fisici della Terra?
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Abbiamo un ventaglio di reazioni che, Kate, sintetizza in “Le Cose che le Aziende Intendono Fare”.
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Fino a pochi anni fa la più gettonata era la più facile: non fare niente.
Un’azienda deve fare profitti è la risposta, il modo di produrre è legale e il “business as usual” – come viene chiamato – andrà avanti fino a quando non verranno introdotte tasse ambientali o gli incentivi per cambiare.
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La sostenibilità per decenni è stata presa molto poco in considerazione ma ora la situazione sta cambiando velocemente.
I segnali che bisogna far qualcosa arrivano dai produttori come coltivatori di cotone, caffè, vino e tessitori di seta che dipendono da catene di forniture globali. L’innalzamento delle temperature mette a rischio le coltivazioni e stare a guardare questi cambiamenti non è più una strategia così intelligente.
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Si è passati quindi ad un’altra reazione. Fare ciò che ripaga grazie a misure per l’efficienza ecologica che tagliano i costi o rafforzano l’azienda: misure che portano ad esempio a tagliare emissioni di gas serra o ridurre l’uso dell’acqua costituiscono, nel processo, un aumento dei profitti. Queste compagnie ostentano i loro progressi rispetto ai concorrenti e magari vendono a un prezzo superiore i loro prodotti ma i loro progressi sono lontani da quel che c’è realmente bisogno di fare.
È molto probabile trovare in questa categoria le aziende che preferiscono guadagnare in reputazione con il greenwashing o addirittura frodando. Come il caso della Volkswagen nel 2015.**
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Arriviamo alla terza reazione: fare la propria parte nell’avvio alla sostenibilità.
Quando nazioni e aziende riconoscono l’entità degli interventi per tagliare le emissioni, ridurre l’uso dei fertilizzanti o consumo d’acqua passano alla fase successiva che è chiedersi quale deve essere l’entità di impegno nel ridurre quantità di anidride carbonica, consumo di acqua o di fertilizzanti.
Qui il rischio maggiore è che “fare la propria parte” si trasformi in “prendersi la propria parte” di diritto ad inquinare dal momento che in questo modo si ragiona ancora con la mentalità della progettazione lineare degenerativa. “il diritto ad inquinare” diventa la risorsa da accaparrare e si innescano i meccanismi per far pressioni sui politici o per trovare scappatoie nel sistema.
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Arriviamo alla quarta reazione che scaturisce da un necessario cambio di mentalità: non fare danni ossia “missione zero”.
Questo vuol dire produrre a impatto nullo e potrebbe essere un’utopia ma ci sono già aziende che funzionano a “energia zero” grazie ai pannelli solari. Oppure un sistema ingegnoso per “zero acqua”: un caseificio recupera il vapore rilasciato dal latte vaccino anziché prelevare acqua dalle falde.
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Perché puntare solo a “fare meglio”? – dice McDonough, architetto e designer **– si può ambire ad una progettazione industriale che non si limita solo a non prendere ma addirittura a dare.
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Abbiamo così introdotto la quinta auspicabile reazione: essere generosa rendendo l’impresa rigenerativa per progetto.
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Non siamo più nell’ambito de “Le cose da fare”.
Questo è un modo di stare al mondo: sentire la responsabilità di lasciare il mondo vivente in condizioni migliori di come l’abbiamo trovato.*
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Janine Benyus, esperta di biomimesi, suggerisce di utilizzare la natura come modello e prendere ispirazione dai cicli della vita.* Prendiamo il carbonio e impariamo a interrompere le nostre “esalazioni industriali di CO2 “ e, come fanno le piante, studiamo come “inalare” carbonio. Poi troveremo anche anche soluzioni per i cicli di fosforo, azoto e acqua.
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Non c’è più tempo ma è tempo di una progettazione fondata sulla generosità.
È giunto il momento che il bruco diventi farfalla.
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L’economia circolare prende il volo
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Possiamo dire addio al bruco con la sua economia lineare. L’economia circolare è rigenerativa per progetto perché sfrutta il flusso infinito dell’energia del sole e trasforma materiali in prodotti e servizi utili.*
Trasformiamo quindi l’economia seguendo il diagramma creato dalla Ellen MacArthur Foundation* che evoca proprio le ali di una farfalla.
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La vecchia mentalità “dalla culla alla tomba” che ha caratterizzato il XX secolo procedeva con l’estrazione di minerali e combustili fossili che diventavano rifiuti da bruciare. Il bruco-industriale prendeva e buttava.
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Vediamo ora come si trasforma in farfalla.
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La mentalità “dalla culla alla culla”* caratterizza l’economia circolare e funziona con energia rinnovabile – sole, vento. acqua e fonti geotermiche.
È detta “dalla culla alla culla” perché i rifiuti o meglio gli scarti non finiscono in discarica ma vengono considerati risorsa. Gli scarti di un processo produttivo – siano biologici che tecnici diventano “materie prime seconde”** di un altro processo.
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I materiali rinnovabili sono di due tipi:
biologici appartengono al ciclo di nutrienti derivanti da suolo, vegetali, animali.
tecnici se si tratta di plastica, materiali di sintesi, metalli, vetro, carta, etc.
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I materiali biologici devono circolare solo “nell’ala biologica” seguendo alcuni principi: i materiali prelevati devono rispettare i ritmi che la natura richiede per rigenerarli; sfruttare le molteplici fonti di valore nei cicli naturali; progettare i sistemi produttivi in modo che nulla vada perso.
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Per esempio per ottenere una tazza di caffè si utilizza solo l’1% di un chicco. Invece di buttare i residui e poi i fondi del caffè nel compost, si possono utilizzare per la produzione di altri prodotti dal momento che sono ricchi di cellulosa, lignina e zuccheri in numerosi altri impieghi e terminare con il compost che ha un ulteriore ruolo rigenerativo.
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Nell’altra “ala della farfalla” circolano invece solo i prodotti ottenuti con nutrienti tecnici e seguono i loro propri principi: devono essere progettati per essere ripristinati attraverso riparazione oppure riuso oppure rifacimento e, come ultima opzione, riciclo.
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Per esempio i telefoni cellulari, che mediamente solo utilizzati solo due anni, hanno al loro interno un tesoro di metalli preziosi come oro, argento, cobalto, rame e di elementi chimici (terre rare. Secondo uno studio, in Europa nel 2010 solo 6% è stato rigenerato, il 9% disassemblato per il riciclo e 85% è finito in discarica. In un contesto di economia circolare sarebbero progettati per essere smontati, aggiornati e ricondizionati e come ultima opzione, recuperati tutti i metalli dei componenti.
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Prendendo come modello la natura nasce così la simbiosi industriale.**
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Tuttavia è bene essere realistici: non potrà mai esserci un ciclo industriale in grado di recuperare il 100% delle materiali.
Il punto è che in un’economia degenerativa il valore è monetario e, in funzione di questo, per ogni cosa che viene prodotta si deve puntare a ridurre i costi e aumentare continuamente le vendite.
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Il risultato che si è avuto è un incessante flusso di materiali.
In un’economia rigenerativa invece il flusso dei materiali diventa un flusso circolare. Siamo immersi in un flusso costante di energia solare che dà la vita nella biosfera e dobbiamo sfruttare questa energia per ripristinare quello che abbiamo creato e rigenerare il mondo vivente in cui prosperiamo.
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La vera trasformazione risiede nel dare un nuovo significato al concetto di valore. Come disse il poeta John Ruskin “Non c’è altra ricchezza al di fuori della vita”.
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Benvenuti nella città generosa
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Non solo le fabbriche anche i paesaggi urbani possono essere rigenerativi per progetto così da creare “città generose”* dice Janine Benyus, insediamenti umani che si inseriscono nel mondo vivente.
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Seguendo un approccio ti tipo rigenerativo invece di adattare la natura ai propri modelli, avviene il contrario. L’architettura si ingegna per preservare e valorizzare gli ecosistemi e i cicli biologici, mantenendo caratteristiche di durabilità, resistenza e fruibilità.
Si possono progettare tetti su cui cresce cibo, che catturano l’energia del sole e che ospitano animali selvatici. Asfalti delle strade capaci di assorbire l’acqua dei temporali per rilasciarla lentamente nella falda. Edifici in grado di catturare CO2 e in grado di trasformare le acque di scarico in nutrienti per il suolo.
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Certamente non esistono ancora queste città in compenso sono partiti molti progetti sperimentali.
In Olanda per esempio si trova Park 20/20, basato sui principi “dalla culla alla culla”**: è stato progettato da William McDonough e costruito con materiali riciclabili, dotato di un sistema energetico integrato e di un impianto per il trattamento dell’acqua, i tetti oltre ad accumulare energia solare, raccolgono l’acqua e sono un habitat per gli animali selvatici.
Nel mondo ci sono villaggi, paesi e città che stanno adottando i principi della progettazione rigenerativa.
Il Bangladesh punta ad uno sviluppo sostenibile e a essere alimentato a energia solare.* Vengono organizzati corsi per la formazione di donne imprenditrici a cui viene insegnato come fare l’installazione e la manutenzione dei pannelli solari.
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Nel mondo ci sono molti di questi progetti ma sono ancora in una fase sperimentale.
Nel XXI secolo servono economisti responsabili e capaci di renderli realizzabili. Ma non solo.
Con il prossimo articolo vedremo, tra gli altri, il ruolo fondamentale della finanza e dello Stato.
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Legenda relativa ai link:
* fonte citata nel libro “Economia della Ciambella”
** approfondimento suggerito da Culturaintour
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